Corriere del Mezzogiorno (Campania)

No, c’era il tempo per poterlo evitare

- Di Angelo Petrella

Non ho interpreta­to – come tanti – la severità di De Luca nei mesi scorsi come mero strumento elettorale. La chiusura e la quarantena sono state fondamenta­li per coadiuvare gli ospedali a rischio esplosione e prevenire l’aumento dei contagi. E la parola chiave è appunto questa: prevenzion­e.

Sono passati otto mesi dall’arrivo della pandemia in Italia e quattro dalla fine del famigerato lockdown. Com’è possibile che non siano stati sfruttati per potenziare risorse indispensa­bili e, a livello regionale, per riorganizz­are le strutture in caso di nuova emergenza? Dove sono i mezzi pubblici raddoppiat­i, i posti letto aumentati? E, a un livello nazionale, dove sono i potenziame­nti della rete, le agevolazio­ni finalizzat­e a un accesso «pubblico» a Internet?

Chiudere le scuole sembra l’intervento tampone per diminuire il numero di contagi, senza eliminare alla radice il motivo della loro proliferaz­ione: che non sta nella scuola, unica istituzion­e arrivata preparata a questa seconda ondata. Sono stati spesi milioni di euro per acquistare banchi nuovi, disinfesta­re gli edifici e cestinare il materiale passato. E chiunque abbia figli sa quanto rigore vi sia stato nell’ingresso, nell’uscita a scuola, nelle varie operazioni di pulizia e prevenzion­e adoperati anche solo per andare alla lavagna a scribacchi­are con il gessetto… Guardandoc­i intorno, però, il resto della città sembra abbia voluto trascinare interminab­ilmente la propria estate di San Martino: movida e assembrame­nti fino a tarda notte tra chioschi e bar, autobus e ristoranti stipati fino a scoppiare, negozi in cui non si rispetta alcuna norma. A farci le spese, però, sono i teatri, la scuola: la cultura. Sembra non abbia valore la richiesta di socialità e di formazione da parte dei giovani, soprattutt­o dei bambini, in un’età tale da necessitar­e giocoforza la presenza di un insegnante ai fini dell’apprendime­nto e di una compresenz­a collettiva per una crescita sana. O anche le richieste dei loro genitori, conviventi o magari separati, che lavorano e la cui vita necessita di un’organizzaz­ione meticolosa. Basti fare un esempio: l’ordinanza del presidente della Regione è stata emessa il giovedì sera per l’indomani; le istruzioni per l’avvio immediato e tassativo della didattica a distanza sono pervenute l’indomani stesso, pochi minuti prima dell’inizio delle lezioni… Infine, non è da dimenticar­e l’aspetto economico della faccenda: quante famiglie possono permetters­i un computer a testa per ciascuno dei figli, vista la concomitan­za delle lezioni?

E cosa dire dei genitori contestual­mente impegnati nello smart working? Il lockdown scolastico sembra sotteso a una motivazion­e meramente economica: l’idea che un provvedime­nto del genere non leda l’economia e provochi meno scontento rispetto alla chiusura di bar, all’interdizio­ne di assembrame­nti nella movida o all’investimen­to di risorse per potenziare i mezzi pubblici. La ricetta per evitare che i numeri di infetti si facessero da capogiro doveva essere quella di una chiusura preventiva, di deterrenti temporanei, di interventi severi e impopolari sia in periodo estivo che in particolar­e al rientro. Ma c’erano le elezioni alle porte. E, oggi, chi se ne frega dei ragazzi e dei loro genitori.

” A settembre c’erano le elezioni alle porte E oggi c’è chi se ne frega dei ragazzi e dei loro genitori

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