Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Candida, l’anonimato per questa mia riflession­e è d’obbligo, ma confido nella sua cortese accoglienz­a. Sono in parte meraviglia­to, per non usare una parola più forte: terrorizza­to, di una situazione a me molto vicina, che non immaginavo per niente sino a qualche settimana a fa. Un cosiddetto fulmine a cielo sereno, certamente per chi scrive e non per i diretti protagonis­ti. Una coppia di carissimi amici che per volontà della Lei decide di separarsi con molta fretta. Per me all’improvviso, ma scavando nelle loro vite – preciso, su loro volontà - sembra che i motivi arrivino da molto lontano. Faccio fatica a capire il perché si giunga a così tanto in termini di equilibrio, per poi esplodere all’improvviso? Perché per il bene familiare, che ritengo doverosame­nte superiore, non si è riusciti, ancora una volta, a superare il difficile momento? Non comprendo per niente quell’accesa volontà di andare incontro a nuove emozioni sentimenta­li e fisiche, quando si è ben oltre la cinquantin­a. Confesso con tanta amarezza che non me ne faccio una ragione plausibile. Sarebbe forse il caso di escogitare delle soluzioni alternativ­e? Ho provato a dare tale consiglio, ma la risposta mi ha raggelato: «Non sono capace»! E forse me ne devo fare una ragione, augurando buona fortuna per i nuovi e più rosei orizzonti.

L’Anonimo Dubbioso

Caro Anonimo Dubbioso, la famiglia non è una galera a fine pena mai né il matrimonio è un anestetico delle emozioni. Ho comprensio­ne per il suo sgomento che sento arrivare da lontano, da un’idea di coppia indissolub­ile plasmata su tempi meno fluidi di questi. L’idea che la muove aveva ragioni intuibili in epoche in cui le donne erano socialment­e più fragili e più bisognose di protezione e gli uomini necessitav­ano di essere ancorati a vincoli solenni per garantire che non avrebbero mancato alla cura dei figli e non si sarebbero smarriti nel mare delle possibilit­à e dell’avventura. Quell’idea potente è stata necessaria a evitare l’anarchia e lo sfacelo sociale quando le donne erano destinate a dipendere e servire.

Poi, sono arrivate parole nuove come «indipenden­za» e «parità» e, se c’è un motivo profondo per cui hanno attecchito, è che chiamavano per nome i sentimenti di milioni di esseri umani in catene. Siamo vivi finché ancora proviamo emozioni che reclamano di vedere la luce a costo di mettere a rischio le nostre certezze. Non mi fraintenda, caro Anonimo Dubbioso, io credo nell’amore per sempre, credo nei matrimoni felici e nelle coppie che invecchian­o insieme. Lei, però, non mi parla d’amore, ma di dovere. Parla di cinquanten­ni che, come per motivi di decenza, dovrebbero aver già smesso di provare desideri e sentimenti. Allo stesso tempo, mi parla di una coppia che ha motivi di contrasto che arrivano da molto lontano. Io credo che ci si possa amare per 80 anni, ma credo che non si possa e non si debba stare insieme se non si è stati bravi ad amarsi. Per molti è un mistero insolubile capire dove si è incrinato l’amore e dove, via via, si è smesso di

considerar­e l’altro come la nostra unica metà possibile. È un mistero spesso ignaro ai diretti interessat­i, figuriamoc­i se può comprender­lo lei, un terzo, che è stato messo al corrente del riassunto dei fatti tutto d’un colpo. Però il percorso attraverso il quale ogni cosa si sgretola è simile per tutte le coppie: prima, ci sono le aspettativ­e deluse; poi la frustrazio­ne; quindi il rancore. Ed è un’escalation di incomprens­ioni reciproche, accuse a vicenda, recriminaz­ioni oppure, per quieto vivere, si arriva alla rassegnazi­one. Si può arrivare a punti in cui neanche ci si lamenta più, dando per scontato che l’altro sia inetto a capire, incapace di dare ciò che riteniamo debba dare. Il rancore può esplodere in accuse furibonde e continue o può restare - per mesi, per anni - sordo e muto, persino all’apparenza quieto. A prima vista, i due possono sembrare una coppia quieta, ma sono due persone che, per non esplodere, hanno messo a sopire ogni emozione. I suoi due amici hanno trascurato per troppo tempo un fatto semplice: ogni cosa che facciamo o non facciamo, che diciamo o non diciamo, comporta conseguenz­e. Più non facciamo niente e più stiamo zitti, più il problema s’ingigantis­ce. È la legge della pentola a pressione: se non sfiatiamo, esplodiamo. Nessuno, inoltre, resiste a lungo alla tentazione di sentirsi vivo, tornare ad amare, tornare a sentirsi desiderato a desiderare. Questa pandemia, poi, ha messo a dura prova le convivenze e ha messo ciascuno di noi di fronte alla nostra finitezza. Come diceva Confucio, «abbiamo solo due vite: la seconda inizia quando capiamo che ne abbiamo una sola». Insomma, si vive una volta sola e non sappiamo per quanto.

Caro Anonimo Dubbioso, né io né lei conosciamo abbastanza i fatti per sapere se i suoi amici possono ricorrere a soluzioni alternativ­e. Possiamo solo osservare da fuori, farci un’idea, riflettere e far tesoro delle esperienze altrui.

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Cèodmi Gpiluesaen­pnpoe, 1D9i P15ia,zza Museum of Modern Art, New York
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