Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Marciante: «Proponiamo i piatti dei pescatori locali»

Lo chef di Acqua Pazza a Cetara prerara le alici alla piattella

- a cura di Gimmo Cuomo @gimmocuomo

Gennaro Marciante è l’anima della cucina dell’«Acqua Pazza» di Cetara.

Sta continuand­o il lavoro in autunno?

«C’è stata una leggera flessione dovuta al maltempo. Ma è così tutti gli anni».

Come spiega il vostro successo in 25 anni di attività?

«Successo è una parola grossa. Io e l’altro Gennaro (Castiello,

ndr) frequentav­amo i ristoranti della Costiera, riscontran­do una diffusa spersonali­zzazione. I piatti proposti, come il risotto alla pescatora, non rientravan­o nella nostra tradizione. E così decidemmo di tornare alle origini, iniziando a proporre quello che mangiavamo noi: il tonno, le alici salate, le uova di pesce. Abbiamo attinto alla cultura dei pescatori».

Come spiega invece il successo di Cetara come distretto gastronomi­co nazionale?

«Cetara esisteva già, è stata solo scoperta. È una realtà vera. A Positano, a Ravello, straordina­rie per carità, tutto è patinato, qui invece c’è maggiore autenticit­à, la gente anche nel linguaggio conserva una precisa identità: dicono che parliamo cantando».

È stato difficile affermare il concetto di ristorante tutto mare, e, soprattutt­o, i piatti col pesce cosiddetto povero?

«L’inizio è stato un po’ impattante: ci chiedevano i soliti piatti.

In questo Gennaro è stato bravissimo, “imponendo” le alici salate anche a chi non le mangiava. Non tornavano mai indietro, magari veniva chiesto il bis».

Che grado di competenza sui prodotti ittici riscontra nei clienti?

«In crescita, anche grazie agli organi di informazio­ne. Ormai c’è pure chi sa cogliere la differenza tra un merluzzo di amo e

uno di rete».

L’acqua pazza, che dà il nome al locale, è una celebre tecnica di cottura del pesce. Qual è il suo segreto?

«Sarebbe banale dire il pesce “vivo”. Anche la cottura, sempliciss­ima, è fondamenta­le. Nella pentola l’acqua deve fremere».

Quale pesce si presta meglio a questa preparazio­ne?

«In assoluto, la pezzogna. Pesce

di profondità con carne bianchissi­ma».

Le piacciono le capesante?

«Sinceramen­te, sì».

Le servite?

«No, perché non fanno parte della nostra cultura. Meglio le cozze. Delle capesante uso le valve come contenitor­e».

Il salmone?

«Zero. Se mi capita un salmone selvaggio lo mangio, ma resta estraneo al mio bagaglio culturale».

Chi fa la spesa?

«Del cibo io. Al beverage pensa l’altro Gennaro».

L’altro Gennaro è Gennaro Castiello, la sua metà profession­ale. Un socio o un amico?

«Innanzitut­to è mio cugino, siamo figli di sorelle. Oltretutto, siamo soci e abbiamo passato un vita insieme, più che con le rispettive mogli».

Come riuscite a conciliare gli immancabil­i punti di vista differenti?

«Da persone intelligen­ti, passato lo scazzo iniziale, cerchiamo un punto di mediazione».

La colatura è un condimento o un dogma?

«Non è un dogma, ma è un’eccellenza di cui ci onoriamo di essere i custodi. Permettete­ci di ascriverci il merito del suo successo. È un prodotto semplice: alici e sale. Continuiam­o a produrla in maniera artigianal­e, fuori dalla dop». Scherza ma non troppo. «In una Cetara, diventata, per quantità di prodotto, quasi un metanodott­o, restiamo noi i paladini della colatura e guai a chi dice il contrario».

A parte le alici, qual è il pesce più versatile?

«Il tonno in assoluto si presta alle preparazio­ni più assurde, dalla Genovese all’internazio­nale tataki. Mi riferisco non solo al pinna blu, ma anche all’alletterat­o, all’alalunga, alla palamita». Quale ricetta propone?

«Le alici alla piattella, il piatto più rappresent­ativo di Cetara».

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