Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’atto diseducativo di «un uomo solo al comando»
Chiuderle è stato uno schiaffo a migliaia di docenti che convivono col rischio provando a proteggere gli allievi
Trasformare gli ostacoli in risorse. Gran bello slogan che come ogni slogan perde senso al terzo giro di boa se non capiamo quanto sia difficile e quanto ogni difficoltà per trasformarsi in risorsa richiede fatica, quella che un filosofo ha chiamato «lavoro dello spirito».l pensiero richiede fatica, spesso una fatica immane perché qualsiasi cosa nuova introduco in un sistema di pensiero devo riorganizzare tutti gli altri pensieri.
Come nella tela del ragno ciò che accade a distanza fa vibrare l’intera rete e mette in allarme il predatore che piomberà sulla preda.
Così i nostri pensieri dominanti, i principi più sacri piombano sul pensiero nuovo per massacrarlo prima che possa fare danno. Spesso i cosiddetti pensatori invece di fare la fatica di combattere questa battaglia dentro di loro trovano più facile attaccare le persone che si fanno portatrici unilaterali di questo o quel pensiero per distruggerle e dimostrare in quel modo che il pensiero molesto che si stava insinuando nel proprio sistema è fallace, pericoloso e potenzialmente criminale.
Va da sé che questo modo di gestire le contraddizioni è particolarmente congeniale a sistemi di potere che vogliono apparire monolitici, è particolarmente congeniale alla teoria di «un uomo solo al comando» che è lo sport preferito di quelli che vivono condizioni di crisi.
Perdo solo qualche rigo per ricordare al lettore che la dimostrazione di queste affermazioni sta nei comportamenti dei capi delle più grandi potenze mondiali e giù a scendere fino al nostro governo, ai presidenti delle regioni, al sindaco del paesino che si illude di vivere su un altro pianeta separato dal vuoto interstellare dalla terra pandemica.
Dalla convivenza col Covid 19 potremmo imparare che la complessità non è un nuovo sistema che si sostituisce al pensiero sintetico e sistemico, ma un modo di affrontare i problemi senza la pretesa di comprenderli ossia di «prenderli dentro» le soluzioni già esistenti, che impone l’analisi caso per caso, che impone il calcolo del rischio, che impone la responsabilità personale, che include la fiducia in se stessi e nei propri mezzi intellettuali. La psicologia dell’incerto sta alla psicologia del comando come il mondo del probabile sta al mondo delle certezze incrollabili. Il tema pedagogico e andragogico (educazione degli adulti) che si pone è quale pensiero e quale educazione possono funzionare, in quali strumenti possiamo avere fiducia. Raramente nella scena pubblica si discute dell’empowerment ossia di quel processo che mette le persone in condizione di usare al meglio le proprie risorse. È un concetto che in parte si sovrappone a quello di maturità ma insiste sui processi pratici che ci mettono in grado di usare la nostra maturità. Tra le molte componenti di questo processo c’è la padronanza degli attrezzi mentali.
Molti insistono sul «sapere critico» come se fosse chiaro cosa sia e come si sviluppa, come se bastasse confrontare le fonti, l’attendibilità di chi scrive o parla di un argomento e via dicendo. In questo momento a ciascuno di noi serve potersi fidare di se stesso e della propria capacità di discernimento, ossia fidarsi della ragione nella sua funzione originaria che è quella di discernere e connettere; ciascuno di noi deve potersi fidare di un gruppo piccolo o grande di umani solidali, che condividono dubbi ed ansie.
Abbiamo troppe informazioni e troppe fonti, troppe autorità che sgomitano a chi la dice più grossa. Non bisogna scrivere ordinanze di 80 pagine, non bisogna fare una casistica infinita. Per quel che ci riguarda ci sono tre semplici regole: lavarsi le mani, avere la mascherina, tenere la distanza. Sappiamo qual è il meccanismo di trasmissione, sappiamo che non basta un contatto fugace, che non basta un attimo di distrazione, per contrarre l’infezione: bisogna impegnarsi e insistere in contatti non protetti come è avvenuto questa estate, come avviene in mezzi pubblici sovraffollati.
Sappiamo che dobbiamo proteggere le persone più fragili. Basta questo. E milioni di persone ce la stanno mettendo tutta per rispettare queste semplici regole, decine di migliaia di docenti stanno convivendo con il rischio provando a proteggere i propri allievi. Chiudere le scuole è uno schiaffo a queste persone, è un atto di prepotenza che nega alle persone la capacità di intendere e di volere, che impedisce l’esercizio della ragione e della responsabilità da parte dei docenti e di centinaia di migliaia di giovani. È un atto diseducativo.
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Precauzioni
Ci sono tre semplici regole: lavarsi le mani, avere la mascherina, tenere la distanza