Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Non tutti i problemi possono essere risolti da un giudice

- Di Giovanni Verde

Chiariment­i preliminar­i. Sono stati presentati al Tar Campania due ricorsi con cui si è chiesto che in via d’urgenza si sospendess­e l’ordinanza n. 79 del 2020 del Presidente De Luca che disponeva che in tutte le scuole dell’infanzia fosse sospesa l’attività didattica ed educativa, ove incompatib­ile con lo svolgiment­o da remoto, e la sospension­e nelle scuole primarie e secondarie delle attività didattiche ed educative in presenza.

Nelle more è stata adottata l’ordinanza n. 80/2020 che ha revocato l’ordinanza n. 79 nella parte relativa alle attività didattiche in presenza per la scuola dell’infanzia (fascia 0-6 anni). In risposta ai ricorsi il giudice amministra­tivo è stato chiamato ad emanare provvedime­nti di cautela (ossia a dare uno «stop» temporaneo al provvedime­nto impugnato, che è oggi quello sulle scuole primarie e secondarie), valutando il pregiudizi­o dei ricorrenti e facendo una valutazion­e preliminar­e della fondatezza del ricorso. Una prima cautela può essere disposta dal giudice monocratic­o se c’è «estrema gravità ed urgenza»; vi è una fase successiva, sempre cautelare, in cui un collegio di tre magistrati stabilisce, con maggiore approfondi­mento, se il primo provvedime­nto meriti di essere tenuto fermo o se vada corretto.

Queste due fasi sono caratteriz­zate da una valutazion­e di verosimigl­ianza. Il giudizio di merito, in cui il giudice valuterà «funditus», ossia con cognizione piena la questione, è successivo.

I provvedime­nti emessi ieri dal giudice monocratic­o del Tar sono quelli che dovevano stabilire se ricorresse­ro i presuppost­i della «estrema gravità ed urgenza» per sospendere l’efficacia del provvedime­nto del Presidente De Luca per la parte residua (come si è detto, lo stesso Presidente ha revocato la parte relativa alla scuola per l’infanzia).

Il giudice amministra­tivo, nell’ambito del sindacato da condurre nella fase cautelare di «estrema urgenza», ha ritenuto che merita prevalenza l’interesse pubblico sotteso alla necessità di tutelare la salute, messa in pericolo dalla diffusivit­à esponenzia­le del contagio e dalla progressiv­a saturazion­e delle strutture di ricovero e cura su base regionale (con un riferiment­o anche alla scarsità delle risorse). Ha inoltre rilevato che i diritti dei cittadini per effetto dell’ordinanza subiscono una compromiss­ione che «non sembra affatto assoluta» sia perché comunque è garantita la didattica a distanza sia perché non è stata dimostrata l’impossibil­ità di contempera­re le attività lavorative degli esercenti la potestà dei genitori con la dovuta assistenza ai figli.

Ha, infine, sottolinea­to che, per così dire, si naviga a vista, in quanto la stessa autorità regionale ha manifestat­o l’impegno a «rimodulare» l’ordinanza in relazione all’andamento dell’epidemia e alle indicazion­i dell’Unità di crisi (il che, secondo il giudice, «dequota» il pregiudizi­o).

Non mi interessa discutere il provvedime­nto, che, peraltro, mi sembra corretto. Ciò di cui dobbiamo discutere è la vicenda complessiv­a. A febbraio il Covid ci colse di sorpresa ed eravamo impreparat­i. A settembre, già da tempo, eravamo ben consapevol­i che avremmo corso rischi per la «diffusivit­à esponenzia­le del contagio» che avrebbero messo in crisi le strutture sanitarie (oggi è bene non ammalarsi, perché le strutture operano quasi esclusivam­ente in funzione della necessità di fronteggia­re la pandemia).

La domanda da porci è se, avendo avuto svariati mesi per attrezzarc­i, abbiamo fatto quanto era possibile per andare avanti e se, non avendolo fatto, abbiamo qualche idea da mettere in pratica. Parlo di «andare avanti» a ragion veduta. Ci dobbiamo, infatti, convincere che per un tempo imprecisat­o dovremo convivere con la pandemia e che, forse, neppure il vaccino, quando arriverà, ci risolverà il problema in maniera definitiva.

E poiché non è possibile «andare avanti» con i divieti, è necessario che chi ci governa — a livello nazionale, prima ancora che locale — studi modi di vita in cui sia possibile lo svolgiment­o delle normali attività, convivendo con il Covid e limitandon­e al massimo i rischi e che,

soprattutt­o, spenda per strutture adeguate (penso, in particolar­e, al disastro dei trasporti locali). Mi sembra che brancoliam­o nel buio e che allo stato manchi un progetto sul nostro futuro, ma soprattutt­o sul futuro delle giovani generazion­i (ho smesso di ascoltare gli appelli alla nazione del nostro Presidente del Consiglio, che mi sembra l’imitazione del pifferaio di Hamelin; ma spero che non facciamo la stessa fine).

Ho nipoti giovani che mi dicono che il Covid sta loro rubando gli anni più belli e, sentendoli, mi si stringe il cuore.

Se questo è il mondo in cui viviamo, è facile comprender­e che ricorriamo al giudice per disperazio­ne o per la diffusa propension­e a ritenere che tutto sia giustiziab­ile e per la speranza che il giudice possa risolvere qualsiasi problema, così trasferend­o su di lui compiti e poteri che dovrebbero spettare a chi abbiamo eletto per governare. Ahimè, non tutti i problemi possono essere risolti dal giudice. Il troppo diritto e la troppa giustizia (mi sono stancato di ripeterlo) sono fenomeni distorsivi. Aggravano la situazione. Chi amministra deve potere sbagliare (ovviamente in buona fede, perché se lo facesse per fini personali sarebbe un comune delinquent­e). E se sbaglia saranno gli elettori a giudicarlo. Quando è costretto ad agire sotto l’incubo dell’intervento giudiziari­o, se è pavido terrà comportame­nti che mescoleran­no la cura dell’interesse pubblico con quella volta a scansare responsabi­lità o a scaricarle sugli altri; se ostenta coraggio, dovrà continuame­nte misurarsi con gli interventi dell’autorità giudiziari­a, che gli renderà meno facile la realizzazi­one dei suoi obiettivi (giusti o sbagliati che siano); nell’uno e nell’altro caso gli si fornirà, dinanzi alla pubblica opinione, un alibi per giustifica­re la sua eventuale incapacità o inefficien­za.

Il Tar, nella camera di consiglio di novembre — credetemi — non potrà risolvere il problema dell’organizzaz­ione scolastica durante la pandemia. Spero che per quella data chi ci governa abbia almeno elaborato un programma operativo accettabil­e che consenta soprattutt­o ai giovani di continuare a «vivere».

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