Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Amendola, lo scultore dal gusto preraffael­lita

- Di Stefano de Stefano

Molti, fra napoletani e turisti, lo conosceran­no pur senza saperne probabilme­nte il nome. Perché Giovan Battista Amendola, fra le sue numerose opere, può vantare anche l’imperiosa statua di Gioacchino Murat, che insieme a quelle degli altri re della città, fa bella mostra di sé in uno dei nicchioni della facciata di Palazzo Reale.

Una scultura, che purtroppo l’artista nato a Sarno nel 1848 e formatosi nel Real Istituto di Belle Arti napoletano negli anni ‘60, non poté vedere al suo posto a causa della morte prematura per tubercolos­i, che lo portò via nel 1887 a soli 39 anni.

Anni però intensissi­mi, di opere, viaggi e incroci artistici, italiani ed europei, in particolar­e inglesi, come ben dimostra la mostra, «Giovan Battista Amendola tra Napoli e Londra. Evoluzioni plastiche dal Verismo al Liberty», curata da Diego Esposito con 17 sculture e 2 ceramiche, visitabile fino al 31 ottobre nella Sala Comencini del Circolo Artistico Politecnic­o di Palazzo Zapata, in Piazza Trieste e Trento. Un ciclo, peraltro che si incastona alla perfezione in un ampio tour espositivo di questi giorni a Napoli, dall’allestimen­to sul Liberty di Palazzo Zevallos a quello su Vincenzo Gemito a Capodimont­e.

Uno spaccato di fine ‘800, che riafferma la centralità di Napoli negli anni a cavallo del passaggio dallo stato borbonico a quello unitario, e soprattutt­o le fitte relazioni europee dei suoi artisti, da Gemito con Parigi ad Amendola con l’Inghilterr­a. Dove conobbe e frequentò Lawrence Alma Tadema, con cui venne anche in Italia, come testimonia­to dalla piccola statua di Laura Theresa, moglie dell’artista anglo-olandese, ma anche dal ritratto che il pittore vittoriano gli dedicò nel 1883, che lo raffigura nel suo studio mentre lavora al ritratto di Laura con raspino in mano, bulini e spatole sul tavolo. Il che spiega il formarsi in Amendola di un gusto preraffael­lita misto a un senso levigato della classicità pompeiana presente soprattutt­o nei bronzetti realizzati a partire dal 1878 (come «Wedded», «Venere che avvolge la chioma» o «A moment’s rest»), aperto però alle suggestion­i che avrebbero portato poi alla nascita e all’affermazio­ne dell’Art Noveau, come dimostra l’eloquente «Testa e lira di Orfeo sulle onde» del 1881 in argento brunito e dorato. Un transito, peraltro, in cui si colloca un’intera generazion­e di eccellenti scultori partenopei, da Stanislao Lista ad Achille d’Orsi, da Vincenzo Gemito a Francesco Jerace. Infine fra le altre opere da ricordare in esterna anche le figure in marmo di Luigi Paisiello al San Carlo e quella in gesso patinato di Giambattis­ta Pergolesi al Verdi di Salerno, e poi il ritratto di Enrico Alvino in Villa Comunale e le Cariatidi del Mausoleo Schilizzi a Posillipo. Nel catalogo edito da Fioranna, testi di Esposito ma anche di Luisa Martorelli, Fausto Minervini, Rosa Romano d’Orsi e Maria Grazia Gargiulo.

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