Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La recensione
«I manoscritti del diluvio» Un angelo salva anche noi
«È magnifico vivere di solo spirito e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l’eternità, soltanto ciò che è spirituale. Ma a volte la mia esistenza spirituale mi pesa, e allora non vorrei più fluttuare così in eterno, vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi questa infinitezza, legandomi in qualche modo alla terra». Queste parole di Damiel, l’angelo in transito fra trascendenza e umanità, che Wim Wenders mise al centro de «Il cielo sopra Berlino», potrebbero fare da distico a «I manoscritti del diluvio» che ha aperto la stagione del Mercadante. In particolare alla regia di Carlo Cerciello che del denso testo del canadese Michel Marc Bouchard tende ad evidenziare soprattutto quella sospensione fra vita e morte, qui intesa come amnesia della conoscenza. E se nel film la figura alata di Bruno Ganz è adulta e sollecita all’amore, nella pièce in scena fino al 31 ottobre, Danny è un giovane efebico, sospeso fra il Tadzio di Mann e il Ferdinando di Ruccello, che sceglie di dar corpo al restauro delle memorie scritte, danneggiate dall’acqua a cui fa riferimento il titolo. Gli autori, anziani della comunità che come amanuensi avevano iniziato a costruire la testimonianza scritta di sé, nel loro vagare in uno spazio «fangoso» si mostrano come le anime di Kantor, destinate una alla volta ad abbandonare la scena. Perché in fondo è solo il loro transito, chiuso dal protagonista Samuel, a consentire al giovane alato di operare infine il miracolo del Sapere e della Storia, prima che le generazioni del now and here ne decretino il definitivo oblio. Spettacolo-metafora che Cerciello ha scelto con cura e che Walter Cerrotta, Michele Nani, Danilo Nigrelli, Franca Penone, Bruna Rossi e Maria Angeles Torres, conducono in porto con mano ferma.