Corriere del Mezzogiorno (Campania)
E ALLA FINE PAGANO GLI OPERAI
Epilogo (scontato) della vertenza Whirlpool tra annunci, promesse e piani B, C, D... Chi e perché ha perso
Èbene chiarirlo subito: il triste quanto (purtroppo) prevedibile epilogo della vertenza Whirlpool-Napoli rappresenta una sconfitta per tutti. È un fatto, però, che mentre c’è chi al massimo avrà perso una fetta di business o, in altri ambiti, una buona dose di credibilità (in talune circostanze anche la faccia), i 420 operai della fabbrica di Napoli est — e con loro le centinaia di addetti impegnati nell’indotto — hanno quasi perso il lavoro. E il peso della possibile privazione — che colpisce al solito l’anello più debole della vertenza, per giunta in piena pandemia — è decisamente diverso. Una sconfitta per tutti, dicevamo. Innanzitutto per la multinazionale Usa, che appena il 25 ottobre del 2018 siglava in sede di ministero dello Sviluppo economico l’accordo quadro sul piano industriale 2019-2021. Nell’intesa — sottoscritta insieme ai rappresentanti del Governo, delle Regioni interessate, della Confindustria e dei sindacati — era previsto un investimento di 250 milioni di euro per gli stabilimenti presenti nel Paese e si confermava, in questo ambito, la missione produttiva dell’impianto di via Argine: lavatrici a carica frontale di alta gamma. Il totale degli investimenti previsti per il sito partenopeo, sempre nel triennio 2019-2021, era stabilito in circa 17 milioni di euro, tra prodotto, processo, ricerca e sviluppo.
Proprio ieri, però, Whirlpool ha definitivamente gettato la spugna: dopo aver illustrato ancora una volta, in sede ministeriale, il drastico crollo subito nella domanda globale per Omnia (il modello di lavatrici di alta gamma che viene realizzato all’ombra del Vesuvio), i manager del gruppo hanno ribadito il 31 ottobre 2020 come data di cessazione della produzione. Con tanto di ulteriore avviso ai naviganti: «Non affrontare questa situazione potrebbe compromettere ulteriormente la competitività industriale di Whirlpool in Italia».
A uscire sconfitto da tutta questa vicenda, almeno per il momento, è anche, forse soprattutto, il governo nazionale. Quello attuale e quello precedente, e nelle figure di maggior rilievo. La multinazionale Usa, questo va detto, non ha mai lasciato intendere la possibilità di ripensare all’annuncio di fermare le macchine a Napoli. Da ben 18 mesi a questa parte. E da Roma, al di là di qualche colorita e mediatica presa di posizione, o dell’avvio dell’immancabile tavolo di trattativa, nessuno è riuscito a scalfire questa determinazione. Neanche facendo balenare fantomatici piani B, C, D... Un dato di fatto incontrovertibile.
Ma non è finita. La vertenza di via Argine segna una sconfitta anche per le amministrazioni territoriali. Che, eccezion fatta per una doverosa solidarietà verso i lavoratori e le loro famiglie (ci mancherebbe), e qualche ipotesi per incentivare investimenti alternativi, non sono riuscite ad andare oltre. A dar vita, per esser pratici, pur nelle più limitate competenze, a una strategia in grado di far almeno riflettere i vertici Whirlpool. Complimenti.
Che dire di Invitalia. Una bella parte di sconfitta passa anche da qui. L’Agenzia governativa, a luglio, dopo una ricerca di potenziali partner per avviare nuove produzioni a via Argine, grazie anche a un tesoretto messo in campo in collaborazione tra Palazzo Chigi e la
Regione, aveva fatto trapelare che ci potevano essere «opportunità nelle filiere dell’automotive e aerospazio presenti in Campania con aziende di eccellenza italiana e internazionale». Stiamo ancora aspettando che le parole si traducano in fatti. O quantomeno in progetti.
E che pensare di Confindustria?
Parte attiva nell’accordo nazionale del 2018 ma decisamente poco attiva, nelle sue articolazioni territoriali, nel provare a svolgere un ruolo in questa delicata vertenza. Che, come è facile comprendere, va ben oltre i problemi di mercato segnalati dal gruppo con base negli States. C’è in gioco il futuro dell’area orientale del capoluogo e probabilmente non solo quello.
Il sindacato, da parte sua, esce sconfitto nei fatti. I pur ripetuti tentativi di fermare l’addio di Whirlpool non hanno finora prodotto effetti concreti. I rappresentanti delle tute blu ci hanno provato in mille modi, è vero; hanno trasformato questa vertenza in un caso nazionale arrivando anche a proclamare lo sciopero generale per il 5 novembre a Napoli. Eppure non è valso a nulla.
Gran rumore ma pochi risultati anche per la politica locale. Soltanto un mare di dichiarazioni.
I lavoratori Whirlpool (delegati sindacali aziendali compresi) hanno lottato, e ancora lo faranno ne siamo sicuri, con tutta la forza e la passione possibile. Hanno avuto il merito, tra l’altro, di far ricordare alla città intera cosa significa «combattere» per conservare la dignità. Perché il lavoro è dignità, soprattutto in una fase così complessa. Loro, però, come detto prima, rischiano di essere quelli che perdono davvero. Quelli che potrebbero pagare gli errori altrui. E francamente non sembra la conclusione più logica né giusta.
Diciotto mesi
Un anno e mezzo fa la multinazionale Usa ha annunciato l’addio C’era tutto il tempo per prepararsi