Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La partita decisiva per il Mezzogiorno
Sfogliando i quotidiani in questi giorni, l’attenzione delle testate giornalistiche e dei partiti politici su alcune tematiche mi ha destato una certa curiosità e qualche domanda.
Appaiono evidentemente di interesse la curva in rapida ascesa dei contagiati da Covid in Campania (che per qualche giorno ha superato anche i tristi record lombardi) e il dibattito sul futuro della città di Napoli. Domina la scena e occupa sempre più spazio la crisi (non solo numerica) dell’assise di Palazzo San Giacomo e la disputa - per ora gentile e per certo versi sotterranea - tra gruppi di potere e di interesse (e di pressione) che provano a fare da spartiacque per disegnare il futuro consiglio comunale di Napoli e il suo leader, il sindaco della terza città d’Italia e della sua città metropolitana.
Ebbene, per quanto sia apprezzabile che intellettuali e partiti, professionisti e cittadini si preoccupino delle future sorti della propria città, appare in qualche modo stridente il fatto che alla lotta anch’essa sotterranea e non dichiarata tra altrettanti gruppi di potere e di influenza (connotati al Nord e al Sud del Paese) quasi nessuno faccia caso.
Nando Santonastaso sulle colonne del «Mattino» ha sollevato una questione sulle iniziative anche simboliche che via via al Sud vanno sparendo (organizzandosi a distanza, da remoto) e quanto invece, contemporaneamente, al Nord resti inattaccabile. Rituali segni di attenzione e presidio, non solo culturale, a suggello di valori e di interessi che non possono essere scalfiti, traditi, ovattati.
È infatti in corso una sotterranea — e a questo punto poco celata — lotta di poteri per accentrare e gestire poi i fondi dell’Unione europea, quell’ingente partita di risorse che il Governo italiano è riuscito a strappare a Bruxelles e che ora rischiano di divenire oggetto di nuova mediazione politica internazionale dopo che il portavoce del Parlamento Ue, Jaume Duch, ha annunciato lo stop ai negoziati sul budget 2021-2027, a cui è agganciato il Recovery Fund.
Insomma i quasi 209 miliardi di euro destinati all’Italia che, se convogliati in buoni investimenti» in infrastrutture per parafrasare Mario Draghi, potranno colmare quel divario «antico» tra le due aree del nostro Paese, imprimendo una svolta al mercato del lavoro con il progetto Next Generation e a una rivoluzione «green», fanno gola anche al Nord. E le spaccature anche nelle più rappresentative associazioni di categoria testimoniano che al Sud urge una scossa.
Bene ha fatto il ministro Peppe Provenzano che con caparbietà e lucida insistenza si è speso (e si sta ancora spendendo) per introdurre e allargare il meccanismo della decontribuzione, affinché la misura ora temporanea diventi strutturale e nazionale, a sostegno delle imprese. Ma è inutile nascondersi: i partiti e gli uomini politici del Sud devono spendersi per decidere programmi e candidati agli scranni più rappresentativi, ma non possono perdere di vista quella che rischia di essere l’ultima determinante partita politica, offertaci peraltro a seguito di una terribile pandemia. Che se non venisse colta confinerebbe il Sud a «serie B» probabilmente per sempre e renderebbe pressoché definitivamente il Meridione un ottimo mercato di sbocco per i prodotti del Settentrione e dell’Europa. Un territorio alla ricerca costante di aiuti, sussidi e provvedimenti straordinari. Una piazza a buon mercato per turisti e curiosi di arte, folclore e poco più. Mortificando ancora una volta la storia, le donne e gli uomini meridionali, in assenza di quelle condizioni di sistema fondamentali per uno sviluppo duraturo, anche per le imprese che insistono per creare occupazione e ricchezza in condizioni impari.
La sveglia, se non fosse chiaro, è già suonata.