Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nuovi talenti «Gli (in) soliti non noti in cerca di palchi»
Valeria Parrella: «Balsamo ha creato un fondo di garanzia per i giovani drammaturghi»
In una fase in cui le istituzioni faticano a proteggere le vite umane, chi vuoi che protegga le idee? Invece accade. A Napoli, nel cuore dei Quartieri Spagnoli dove Nuove Sensibilità 2.0, concorso bandito dal Teatro Pubblico Campano diretto da Alfredo Balsamo, ha creato un vero e proprio «Fondo di garanzia per le idee»: 50mila euro per dieci autori campani under 40. Obiettivo «motivare e proteggere la produzione e la permanenza delle idee».
Valeria Parrella è «quel tipo di donna» - come il titolo del suo romanzo uscito per Einaudi e già in classifica - che insieme ad altre e altri d’assai prestigio (vedi scheda) sta selezionando i testi inviati entro settembre scorso.
Quali storie si è ritrovata tra le mani?
«Devo fare una premessa. Il concorso biennale in era prepandemica prevedeva la messinscena delle opere vincitrici. Ed è chiaro che essere prodotti e poi in cartellone di un teatro cittadino importante rappresentava un bel traguardo. Le selezioni avvenivano così: i candidati facevano le loro proposte in dieci minuti sul palco. Quando è partito il bando eravamo in pieno lockdown quindi immaginare il futuro del premio era complicato. Intanto abbiamo allargato la giuria a nomi eccellenti come Enzo Moscato, Isa Danieli e Linda Dalisi. Poi c’è stato il colpo di genio di Balsamo cui devo atto di aver intuito quello che stentavo a prevedere. Un giorno ci disse: voglio investire dei soldi in premio solo per drammaturgie. A chi posso garantire di andare in scena con una pandemia in corso? Noi, più ottimisti ribattemmo che, sì certo, ma l’emergenza sarebbe finita... Lui: no, voglio creare un fondo di garanzia perché se non si andrà in teatro i testi possono essere un’ancora di salvezza anche economica». Quanti ne sono arrivati? «Moltissimi: 96, una montagna che non ho finito di scalare. Due mesi fa ci siamo incontrati per darci un criterio. Io che vengo dai premi letterari da duecento romanzi ho proposto la modalità per esempio del “Calvino”: si divide per pacchetti, venti a cranio, sgrossiamo e poi la selezione viene letta da tutti. Ma i miei colleghi di giuria sono così secchioni che vogliono leggere tutto: proposta bocciata».
Cosa raccontano e come? «È un materiale interessantissimo perché ci sono già degli stili: alla maniera di Borrelli, alla maniera di Moscato... e questo lo trovo commovente. Fino a ora niente di eduardiano né vivianesco. Qualcuno scrive in dialetto, gli altri in italiano. Le riunioni di giuria per me sono seminari di teatro: Moscato scrive dieci righe critiche per ogni testo anche eliminato, una sorta di “vangeli apocrifi” di drammaturgia, le sue note sono già un libro».
Di cosa parlano questi under 40?
«C’è molta attualità e un rifugio nel favolistico con invenzioni alla Basile riletto da Garrone per intenderci. I testi sul contemporaneo narrano di doppie identità digitali, realtà distopiche alla Blade Runner, androidi. Ma c’è anche chi riduce romanzi altrui e chi si ritira nel passato. Finora ho incontrato zandraglie e stalker».
Enrico Fiore, ieri da queste colonne, individuava con disappunto nelle proposte innovative dello Stabile la presenza dei «soliti noti». Tra 96 autori ci sarà pure qualche «insolito non noto».
«Lo Stabile, anche in era De Fusco, tranne per qualche proposta di artisti sui quali nessuno aveva mai scommesso, ha sempre avuto il ruolo di confermare quello che già ci piace: Cerciello, Cirillo e così via. A De Fusco si deve l’idea intelligentissima di aver fatto del San Ferdinando la sala degli spettacoli in napoletano e di aver giustamente affidato i nuovi talenti al Ridotto. Quello che sta facendo Andò non è dissimile e, soprattutto in un anno in cui è stato difficilissimo programmare, la linea prudente ci sta. Se l’anno prossimo si scatenerà con proposte veramente nuove saremo più felici. Anche quando eravamo universitarie, però, noi le novità andavamo a cercarcele a Galleria Toledo e al Nuovo, poi anche al Bellini passato ai tre fratelli Russo. Mai allo Stabile».
Il concorso di cui sopra può creare un sistema di vasi comunicanti e iniettare novità sui palchi istituzionali?
«Il problema delle politiche culturali delle istituzioni sono le rivalità, qui come al Salone del libro. Se si mettessero tutti intorno a un tavolo per il bene dei giovani, qualcosa si vedrebbe. Di buono c’è, però, che chi è bravo emerge anche senza di loro, come Fabio Pisano che volevamo premiare l’anno scorso e mentre noi decidevamo Stabile e Bellini già lo mettevano in cartellone. La città regge perché ha tantissime sale private che sostengono i talenti mentre le politiche pubbliche vanno potenziate: siamo l’unica regione in cui il governatore tiene per sé la delega alla cultura. È satrapismo, un errore grave».