Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Burney e la città dalla musica perfetta
250 anni fa il critico lasciò la sua Londra per un viaggio in Italia A Napoli trovò quello che cercava
«Si entra in questa città attraverso un bel sobborgo con strade molto ampie ben costruite e pavimentate con lava. È una città straordinariamente popolata, con un movimento e un’attività superiori perfino a quelli di Londra e Parigi».
Duecentocinquanta anni fa, il 16 ottobre del 1770, l’inglese Charles Burney, il primo grande storico della musica arriva a Napoli, ultima tappa nella Penisola del suo Viaggio
musicale in Italia. Ha 44 anni, in Inghilterra gode di buona fama come organista, clavicembalista, violinista e compositore e, ancor giovane, a Chester aveva incontrato Friedrich Haendel, con cui aveva suonato. Tra le sue amicizie, quella con il più famoso attore dell’epoca, David Garrick, che dal Dury Lane rinnovava i fasti del teatro elisabettiano, con il grande letterato Samuel Johnson, con Horace Walpole, fondatore del romanzo gotico, e con il filosofo David Hume. Per comprenderne la fama nel suo Paese basta ammirare il ritratto che ne fece Joshua Reynolds, uno dei più importanti pittori inglesi dell’epoca, tra i fondatori della Royal Academy of Arts. Nonostante le sue tante occupazioni, Burney non aveva mai perso di vista il suo progetto di una General history of music. Perciò nel giugno del 1770 si mise in viaggio verso l’Italia per raccogliere sul posto le informazioni utili per i suoi scritti. Aveva lasciato Londra portando con sé numerose lettere di presentazione e fermandosi a Parigi, Genova, Torino, Milano, Padova, Venezia, Bologna, Firenze e Roma aveva finalmente raggiunto Napoli.
«Arrivando in questa città ero preparato all’idea di trovarvi la musica al più alto grado della perfezione. Solo Napoli, pensavo, poteva offrirmi tutto quel che la musica può offrire in Italia, quanto alla qualità ed alla raffinatezza. Le mie visite alle altre città potevano rappresentare un dovere professionale, per adempiere un compito che mi ero imposto; qui invece ero venuto animato dalla speranza del piacere. Del resto, quale persona amante della musica potrebbe giungere nella città dei due Scarlatti, di Vinci, Leo, Pergolese, Porpora, Farinelli, Jommelli, Piccini, Traetta, Sacchini e tanti altri compositori ed interpreti di primo piano, sia vocali sia strumentali senza provare la più viva attesa?».
Insomma, per Burney Napoli è la città nella quale trovare soprattutto il piacere della musica. E, dopo essersi fermato nella locanda di Luigi d’Arc, la sera stessa del 16 ottobre è subito al Teatro de’ Fiorentini «per ascoltarvi l’opera comica Gelosia per Gelosia, musicata dal signor Piccini». Burney descrive il teatro, pieno nonostante il periodo di villeggiatura con la Corte di stanza a Portici e ci offre una prima critica: «Questa opera non aveva altro merito all’infuori del nome del compositore, poiché sia il dramma sia il canto erano scadenti…». Salva però il signor Casaccia, «uomo dotato di irresistibile spirito, nella parte di un personaggio comico».
Burney resterà a Napoli tre settimane con un’immersione totale nella vita cittadina, in giro per le librerie e per i tre conservatori del tempo alla ricerca di manoscritti e piaceri musicali. Va nelle chiese ad ascoltare musica sacra, non si lascia sfuggire nessuna rappresentazione, ascolta le canzoni per strada accompagnate da un violino e dal calascione e gli viene anche spiegato come prima di Natale arrivino in città gli zampognari.
Uno dei suoi punti di riferimento in città è il dottor Domenico Cirillo, medico, entomologo e botanico, uno dei futuri patrioti e martiri della Repubblica napoletana del 1799: «Parla l’inglese meglio di ogni altro straniero con cui abbia conversato, ed è un uomo simpatico. Intraprese per me parecchie ricerche e mi procurò delle musiche napoletane popolari». Oltre a quella originaria delle Puglie «dove è impiegata per far ballare e sudare chi è stato, o crede di essere stato, morsicato dalla tarantola».
Burney riesce anche ad incontrare musicisti come Piccinni, al quale consegna la proposta di un impresario inglese, rifiutata, e Jommelli «grande compositore che è senza dubbio uno dei migliori ora viventi in tutto il mondo».
Accurate le descrizioni delle chiese, tra cui la cattedrale, e delle escursioni. La prima alla Grotta di Posillipo, dove visita la tomba di Virgilio per poi raggiungere Agnano e Pozzuoli fino al tempio di Serapide.
Il giorno dopo a Pompei, alla ricerca dell’ambasciatore inglese Hamilton, in villeggiatura nella sua casa di campagna, Villa Angelica. Gli scavi sono iniziati da qualche anno, Burney è estasiato e spiega: «I pezzi di maggior valore sono stati portati a Portici. Tutto il resto, comunque, è lasciato all’aperto; i lavori sono in corso e si proseguono gli scavi senza ricoprire nulla, come invece a Ercolano e altrove... Insomma, questa città mi procurò un gran diletto e mi interessò di più di tutti gli altri resti dell’antichità che abbia visto». Un’altra escursione poi lo porta da Pozzuoli fino all’Averno, quindi a Cuma dove «c’è l’uva migliore che abbia mai assaggiata». E la sera c’è sempre una rappresentazione teatrale da seguire, come la burletta «Le Trame per Amore», al teatro Nuovo, «musicata dal signor Giovanni Paisiello». E intanto c’è da ammirare con un po’ di preoccupazione il Vesuvio. «Appena si fa buio lo contempliamo dalle terrazze del nostro albergo. L’eruzione si va facendo ora veramente violenta».
Nella terza settimana, Burney si reca al San Carlo per ascoltare le prove della nuova opera di Jommelli, una quarta riscrittura del «Demofoonte», su libretto del Metastasio, realizzata proprio su commissione del regio teatro napoletano, la cui prima è prevista per il 4 novembre, giorno dell’onomastico del re spagnolo Carlo, ormai da undici anni lontano da Napoli. «Il teatro ha una sua architettura nobile ed elegante: è di forma ovale e si può paragonare alla sezione di un uovo, la cui estremità sia stata tagliata in prossimità del palcoscenico». Segue una precisa descrizione di palchi e platea. Nel centro della quale vi sono «trenta sedili, per ogni fila, la maggior parte dei quali sono affittati per la stagione d’opera; ognuno si ribalta e rimane chiuso a chiave in assenza di proprietari».
Burney il 4 novembre segue la prima dal palco di Hamilton: «Non è facile dare un’idea dell’imponenza e della magnificenza di questo spettacolo… Penso che questo teatro sia superiore, per le attrezzature sceniche, come per la musica al grande teatro d’opera di Parigi». Un’occasione per conoscere anche il grande Caffarelli «un principe del canto». Burney lascia Napoli nella notte tra il 7 e l’8 novembre, con una riflessione: «Per quanto non si possa dire che la nuova generazione di musicisti napoletani possieda in misura eccezionale gusto, delicatezza, espressione, bisogna riconoscere però che le loro composizioni sono eccellenti dal punto di vista dell’invenzione e del contrappunto e che nelle loro esecuzioni ci sono un’energia ed un fuoco forse unici al mondo; vivacità così ardente da rasentare la frenesia».