Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Rosier, video al Madre Riti danzanti su Napoli
Ecco «Le massacre du printemps» dell’artista francese
È un messaggio di lucida consapevolezza sulla deriva ambientale del tempo presente, ma anche una finestra aperta sulla rigenerazione post-catastrofica che ne potrebbe derivare. Non a caso Mathilde Rosier ha voluto intitolare «Le massacre du printemps» il nuovo lavoro in video presentato ieri al Madre, ovvero il massacro della primavera, ispirandosi ai temi del celebre «Le sacre du printemps», balletto creato da Vaslav Nijinsky nel 1913, su musiche di Igor Stravinsky. E in cui lo scenografo Nicholas Roerich pensava a una fine del mondo imminente ma con la speranza di rinascita per un’umanità più saggia.
L’opera dell’artista francese si allaccia a quell’intuizione, aggiornandola e spostandola sulla realtà napoletana, grazie a una coproduzione tra la Fondazione Donnaregina e Residency 80121, struttura che da tre anni attiva produzioni culturali fra Napoli e altre realtà internazionali. Il filmato, che dura intorno ai 15 minuti, sarà proiettato in loop in Piazza Madre, al piano terra del Museo, fino al 16 novembre. Anche se, in tempi di possibili nuove chiusure anti-covid, non è escluso che possa essere presto fruibile anche sul sito del Madre. «Non ce lo auguriamo – spiega la Presidente della Fondazione Donnaregina, Laura Valente – ma potrebbe accadere se dovesse scattare un nuovo lockdown. D’altra parte lavoriamo sul day-by-day, mantenendo però fermo il senso dei nostri progetti, soprattutto quelli produttivi, come nel caso del film di Mathilde Rosiers».
L’artista era stata a Napoli per alcune residenze creative, prima che scoppiasse la pandemia, realizzando per intero il lavoro del video. «Infatti – aggiunge il curatore Andrea Viliani – avremmo dovuto presentarlo in marzo, e anche adesso avremmo dovuto avere qui Mathilde, bloccata dal lockdown francese, e vedere la performance curata con Korper».
A Napoli Mathilde ha effettuato dei sopralluoghi, decidendo infine di sviluppare la sua idea su tre location: le coltivazioni in serra e intensive della piana di Pompei, il porto e il centro di Napoli, Bagnoli con l’area ex Italsider e il golfo di Pozzuoli. E volando su questi cieli, bagnandosi in queste acque e muovendosi virtualmente su tetti, colline e spiagge, cinque danzatrici che grazie al lavoro digitale si moltiplicano di volta in volta, indossano tute bianche asettiche sormontate da copricapo a forma di spighe o di conchiglie, o calzamaglie mimetiche agitando rami, come in un grande rito di rinascita naturale. Un gesto liberatorio contro «l’abbrutimento di una terra contaminata e un’area marittima abbandonata, la cui desolazione contrasta con una bellezza seducente» come scrive la stessa Rosiers.
L’opera, sorretta dalle musiche ricampionate di Jean Sibelius, si suddivide infine in due parti che si ispirano all’opera di Stravinsky: «L’adorazione della Terra», con coreografie che richiamano alle danze agricole della Russia pagana, e il suo «Sfruttamento» sacrificale e catartico.