Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La politica e la piazza Doppio guaio in Campania
La Campania sta diventando il laboratorio nazionale della seconda ondata. La rivolta di Napoli è il segno che il disagio sociale crescente e una stanchezza psicologica da epidemia ci renderanno sempre più intolleranti verso regole e disciplina, anche a costo di rischi gravi per la salute? Oppure è piuttosto il campanello d’allarme delle strumentalizzazioni con cui facinorosi, sediziosi e malavitosi tenteranno di trarre vantaggio da una situazione di potenziale caos? Le scene di venerdì sera a Napoli sembrano in ogni caso anticipare un futuro distopico e inquietante, e per questo dobbiamo fare di tutto perché non si ripetano. Ma la situazione in Campania pone anche un altro interrogativo, che riguarda la politica: fin dove si spingerà nella lotta tra il Covid e il consenso? Dopo che De Luca ha sfidato il governo annunciando venerdì sera un lockdown fatto in casa, la sua marcia indietro di ieri è frutto della pressione della piazza o solo della sua demagogia? Dopo che ha chiamato «tangheri e sciacalli» alcuni membri del governo (che tra l’altro sostiene), come potrà più avere con loro rapporti improntati al principio costituzionale di «leale collaborazione» tra poteri dello Stato? Dopo aver detto che con certi ministri non si può parlare «da uomini», che se riferito a una ministra è una pesante battuta sessista e se riferito a un uomo (come è più probabile) è una volgare allusione omofoba, che speranze restano di una risposta lucida, ponderata, unitaria delle istituzioni all’emergenza?
La Campania sta anche diventando il laboratorio di una pericolosa trasformazione della prassi costituzionale. Nel gran caos delle competenze, nella confusione delle norme e nell’accavallarsi dei Dpcm, un presidente di Regione può ormai atteggiarsi a sovrano del suo territorio. I suoi poteri sembrano ormai perfino superiori a quelli che esercita il presidente del Consiglio. In definitiva Conte prima di chiudere alcunché deve almeno sentire il Comitato tecnico scientifico, i membri del suo governo, i capi delle delegazioni dei partiti che sostengono la maggioranza, deve informare i leader dell’opposizione e riunire nella conferenza Stato-Regioni tutti i governatori. De Luca può invece annunciare un lookdown di 30/40 giorni, che comprende anche delicate limitazioni di libertà personali, con una diretta Faceboook, senza averlo detto a nessuno, consultato nessuno, chiesto il permesso a nessuno. Inutilmente peraltro, visto che poi ieri il governatore si è adeguato alle decisioni nazionali. C’è da chiedersi perché abbia alzato così tanto la tensione. Ho molti dubbi che siamo ancora nel solco e nello spirito della Costituzione. E penso che qualcuno debba dirlo al più presto a De Luca, per evitare che il caso Campania diventi la prima rottura dell’ordine costituzionale e dell’ordine pubblico nell’era della pandemia.
Intendiamoci, si sarebbe anche tentati di dar ragione al governatore quando dice che la situazione sanitaria sta precipitando e con le mezze misure non si risolve più niente. Se non fosse che è il presidente della Campania da cinque anni e un mese, è stato per due anni commissario straordinario del governo alla sanità, e in campagna elettorale si è più volte vantato di aver preso misure anti Covid senza paragoni nelle altre regioni. Se non fosse dunque che egli fa parte a pieno titolo dei poteri pubblici cui spettava di predisporre un sistema di prevenzione e di mitigazione della seconda ondata.
De Luca si comporta insomma più come agitatore che come governatore, e questo stile si trasmette all’opinione pubblica, cui la lotta al Covid non viene presentata come dovere di solidarietà, presa d’atto dell’interdipendenza di tutti, ma come un combattimento di galli, nel quale chi non la pensa come me è un tanghero o un criminale. Il rischio è che centinaia di facinorosi, armati di bombe carta e di biglie di acciaio, trasformino il suo grido di guerra in una guerriglia di strada contro di lui, come quella scatenata venerdì notte, che ci auguriamo le forze dell’ordine non consentano mai più.
Nella folla radunatasi a Santa Lucia c’era certamente anche il segno di un disagio reale, soprattutto di quella economia dei servizi di prossimità, dei ristoranti e dei bar della movida, che rischia di essere atterrata da un nuovo lookdown. Ma c’è soprattutto la provocazione organizzata, non è ancora chiaro se anche di origine politica oltre che di «paranza», che la rende particolarmente pericolosa in una città polveriera come Napoli.
Questa è un’ottima ragione perché lo Stato centrale riprenda il controllo della situazione. Non si può lasciare Napoli in balia di questo caos, con un governatore che dichiara guerra a tutti, una piazza che dichiara guerra al potere pubblico, e un sindaco che si gode lo spettacolo da uno studio televisivo con l’aria tra il compiaciuto e l’assente come a dire: sono fatti di De Luca.
C’è ormai una cacofonia di voci cui si dovrebbe mettere un freno. Ognuno scarica il barile su qualcun altro. Forse si dovrebbe di nuovo accentrare di nuovo la comunicazione in materia di epidemia: i polmoni di un malato esibiti in diretta fanno rimpiangere la conferenza stampa quotidiana della protezione civile. E sarebbe apprezzabile che chiunque ricopra un ruolo di governo, di qualsiasi ordine e grado, esordisse nelle sue dichiarazioni pubbliche chiedendo innanzitutto scusa per la propria parte di responsabilità.