Corriere del Mezzogiorno (Campania)
GUERRIGLIA E MISURE ANTI-COVID
Non si può non essere d’accordo con quanto ha detto il sindaco de Magistris nella tarda serata di venerdì scorso: Napoli, dal punto di vista sociale, è una «polveriera» pronta a esplodere all’improvviso; basta accendere una piccola miccia non difficile da trovare nella tragica fase della pandemia. Il sindaco ne ha parlato negli studi televisivi di Napoli partecipando alla trasmissione «Titolo V» sulla terza rete della Rai e proprio mentre in diretta veniva mandata in onda la guerriglia urbana davanti al palazzo della Regione a Santa Lucia. Peraltro non l’unico focolaio della rivolta. In realtà questa — cogliendo l’occasione della protesta di commercianti già non adeguatamente risarciti, nonostante le promesse — è stata preparata o cavalcata un po’ da soggetti in senso lato «malavitosi», un po’ dai soliti ultras, un po’ da soggetti in condizione di grave disagio sociale. In televisione il sindaco de Magistris — sollecitato da Lucia Annunziata — ha sì condannato la violenza, ma nello stesso tempo ha criticato aspramente non solo l’inerzia del Governo nazionale ma in particolare — dati i noti rapporti di «sleale collaborazione» istituzionale — l’atteggiamento del presidente della Regione di fronte all’acuirsi della pandemia in Campania: coprifuoco già deciso e probabile nuovo lockdown.
Come per dire: riprovazione della violenza e isolamento dei personaggi che la praticano, ma nessuna provocazione a monte da parte del potere pubblico. Pure su questo non si può non essere d’accordo col sindaco. E difatti non si condivide l’atteggiamento del presidente De Luca: il quale, entrato fin troppo nei panni del suo personaggio mediatico, rischia di allarmare la popolazione oltre il dovuto finendo con l’apparire provocatorio. Anche se magari ha ragione (almeno parzialmente) sul merito di quanto dichiara.
Tuttavia sbalordisce sempre la posizione di de Magistris: abile come al solito a tirarsi fuori da ogni responsabilità — per principio ricadenti su altri — non ha avuto il coraggio di dire che Napoli è una polveriera da molto prima della pandemia e che una buona dose di polvere esplosiva ce l’ha messa lui stesso riducendo al fallimento Napoli e i suoi servizi essenziali.
La situazione in cui da anni vive la città non rientra forse tra le provocazioni del potere pubblico, di cui il sindaco fa parte a tutti gli effetti, capace di suscitare la reazione esasperata dei cittadini? Poi certo è innegabile che nella polveriera napoletana altre dosi siano state messe sia dai Governi (nazionale e regionale) sia, perché no?, dagli stessi cittadini della Campania, specie quelli di Napoli e della Città Metropolitana ma pure in certa misura di Salerno.
Si è visto infatti che, in molti centri della Campania, ci sono state manifestazioni di dissenso rispetto, per esempio, alle misure di qualche sindaco e soprattutto del presidente della Regione Campania, sebbene in forme meno incendiarie e violente
di quelle di venerdì notte a Napoli.
È fuori discussione che il contagio del virus stia aumentando a dismisura, tanto da far dubitare che il sistema sanitario campano (ma non solo) riesca a reggerne la pesante pressione. Sicché sembra ora difficile trovare un’alternativa alla chiusura più o meno totale soprattutto dei centri a più alta densità di popolazione. È altrettanto vero che alcune misure sono talmente urgenti da non consentire un confronto sereno con le rappresentanze istituzionali e sociali: al punto di degradare i cittadini a sudditi e ridurre tali rappresentanze (Consigli regionale e comunali; partiti e sindacati) praticamente al silenzio. Ma si deve pure riconoscere che, dopo tanti mesi di quarantena generalizzata, non è stato fatto abbastanza sia sul piano sanitario sia sul piano del sostegno economico di quanti più hanno sofferto dal lungo lockdown precedente. Il disorientamento dei cittadini è fondato, ma devono anch’essi dimostrare un maggior senso di responsabilità: incredibile che in giro ancora si vedano assembramenti senza distanze e persone incoscienti senza
mascherina.
Di qui logicamente una serie di interrogativi che richiederebbero risposte chiare e plausibili. Come i sofferenti potrebbero sopportare altri quaranta giorni di chiusura senza la benché minima garanzia di tempestivo aiuto economico? Inoltre com’è pensabile che, vista la diffusione abbastanza omogenea del contagio in tutta Italia, non sia il Governo nazionale ad adottare con la necessaria urgenza misure di così enorme portata, come il coprifuoco o addirittura una nuova chiusura totale, lasciandone l’ardua decisione alle Regioni la cui competenza in materia è peraltro assai dubbia?
Ancora una volta, e purtroppo oggi in maniera assai dolorosa, risaltano all’occhio le contraddizioni del nostro ordinamento sulla distribuzione disorganica delle competenze tra Stato e Regioni. Con le continue baruffe quando lo Stato non consulta a dovere le Regioni o quando le Regioni invocano l’intervento dello Stato. Ma si può mai fronteggiare efficacemente una pandemia in un contesto del genere?