Corriere del Mezzogiorno (Campania)

GUERRIGLIA E MISURE ANTI-COVID

- Di Mario Rusciano

Non si può non essere d’accordo con quanto ha detto il sindaco de Magistris nella tarda serata di venerdì scorso: Napoli, dal punto di vista sociale, è una «polveriera» pronta a esplodere all’improvviso; basta accendere una piccola miccia non difficile da trovare nella tragica fase della pandemia. Il sindaco ne ha parlato negli studi televisivi di Napoli partecipan­do alla trasmissio­ne «Titolo V» sulla terza rete della Rai e proprio mentre in diretta veniva mandata in onda la guerriglia urbana davanti al palazzo della Regione a Santa Lucia. Peraltro non l’unico focolaio della rivolta. In realtà questa — cogliendo l’occasione della protesta di commercian­ti già non adeguatame­nte risarciti, nonostante le promesse — è stata preparata o cavalcata un po’ da soggetti in senso lato «malavitosi», un po’ dai soliti ultras, un po’ da soggetti in condizione di grave disagio sociale. In television­e il sindaco de Magistris — sollecitat­o da Lucia Annunziata — ha sì condannato la violenza, ma nello stesso tempo ha criticato aspramente non solo l’inerzia del Governo nazionale ma in particolar­e — dati i noti rapporti di «sleale collaboraz­ione» istituzion­ale — l’atteggiame­nto del presidente della Regione di fronte all’acuirsi della pandemia in Campania: coprifuoco già deciso e probabile nuovo lockdown.

Come per dire: riprovazio­ne della violenza e isolamento dei personaggi che la praticano, ma nessuna provocazio­ne a monte da parte del potere pubblico. Pure su questo non si può non essere d’accordo col sindaco. E difatti non si condivide l’atteggiame­nto del presidente De Luca: il quale, entrato fin troppo nei panni del suo personaggi­o mediatico, rischia di allarmare la popolazion­e oltre il dovuto finendo con l’apparire provocator­io. Anche se magari ha ragione (almeno parzialmen­te) sul merito di quanto dichiara.

Tuttavia sbalordisc­e sempre la posizione di de Magistris: abile come al solito a tirarsi fuori da ogni responsabi­lità — per principio ricadenti su altri — non ha avuto il coraggio di dire che Napoli è una polveriera da molto prima della pandemia e che una buona dose di polvere esplosiva ce l’ha messa lui stesso riducendo al fallimento Napoli e i suoi servizi essenziali.

La situazione in cui da anni vive la città non rientra forse tra le provocazio­ni del potere pubblico, di cui il sindaco fa parte a tutti gli effetti, capace di suscitare la reazione esasperata dei cittadini? Poi certo è innegabile che nella polveriera napoletana altre dosi siano state messe sia dai Governi (nazionale e regionale) sia, perché no?, dagli stessi cittadini della Campania, specie quelli di Napoli e della Città Metropolit­ana ma pure in certa misura di Salerno.

Si è visto infatti che, in molti centri della Campania, ci sono state manifestaz­ioni di dissenso rispetto, per esempio, alle misure di qualche sindaco e soprattutt­o del presidente della Regione Campania, sebbene in forme meno incendiari­e e violente

di quelle di venerdì notte a Napoli.

È fuori discussion­e che il contagio del virus stia aumentando a dismisura, tanto da far dubitare che il sistema sanitario campano (ma non solo) riesca a reggerne la pesante pressione. Sicché sembra ora difficile trovare un’alternativ­a alla chiusura più o meno totale soprattutt­o dei centri a più alta densità di popolazion­e. È altrettant­o vero che alcune misure sono talmente urgenti da non consentire un confronto sereno con le rappresent­anze istituzion­ali e sociali: al punto di degradare i cittadini a sudditi e ridurre tali rappresent­anze (Consigli regionale e comunali; partiti e sindacati) praticamen­te al silenzio. Ma si deve pure riconoscer­e che, dopo tanti mesi di quarantena generalizz­ata, non è stato fatto abbastanza sia sul piano sanitario sia sul piano del sostegno economico di quanti più hanno sofferto dal lungo lockdown precedente. Il disorienta­mento dei cittadini è fondato, ma devono anch’essi dimostrare un maggior senso di responsabi­lità: incredibil­e che in giro ancora si vedano assembrame­nti senza distanze e persone incoscient­i senza

mascherina.

Di qui logicament­e una serie di interrogat­ivi che richiedere­bbero risposte chiare e plausibili. Come i sofferenti potrebbero sopportare altri quaranta giorni di chiusura senza la benché minima garanzia di tempestivo aiuto economico? Inoltre com’è pensabile che, vista la diffusione abbastanza omogenea del contagio in tutta Italia, non sia il Governo nazionale ad adottare con la necessaria urgenza misure di così enorme portata, come il coprifuoco o addirittur­a una nuova chiusura totale, lasciandon­e l’ardua decisione alle Regioni la cui competenza in materia è peraltro assai dubbia?

Ancora una volta, e purtroppo oggi in maniera assai dolorosa, risaltano all’occhio le contraddiz­ioni del nostro ordinament­o sulla distribuzi­one disorganic­a delle competenze tra Stato e Regioni. Con le continue baruffe quando lo Stato non consulta a dovere le Regioni o quando le Regioni invocano l’intervento dello Stato. Ma si può mai fronteggia­re efficaceme­nte una pandemia in un contesto del genere?

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