Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Whirlpool, una crisi simbolo nell’era pandemica. Il Governo riapra i giochi
E a minacciare la revoca di finanziamenti pubblici cui comunque l’azienda aveva dichiarato di non essere più interessata, avendo deciso di non investire sullo stabilimento. E invece di affrontare il negoziato entrando nel merito dei problemi che le imprese di elettrodomestici insediate in Italia e in Europa si trovano a fronteggiare nel contesto del mercato internazionale, e quindi delle possibili strategie di un’azienda come Whirlpool, si scelse la strada miope «o lavatrici o niente» rinunciando a incalzare la multinazionale su una possibile diversificazione produttiva.
Il «niente» che ora incombe con la cessazione dell’attività produttiva a partire dal prossimo 31 ottobre prelude alla pura e semplice cancellazione da marzo 2021 di 420 posti di lavoro, con il dramma che ne deriva per i lavoratori e le loro famiglie, e la perdita di un sito produttivo importante per tutto il territorio. Sta ora al Governo tentare di riaprire i giochi invitando finalmente azienda e sindacati a un confronto su strade diverse dalla mera capitolazione dell’una o dell’altra parte: andare quindi a «vedere le carte» di quella diversificazione produttiva e di quel coinvolgimento di altri imprenditori cui la multinazionale si era a suo tempo dichiarata disponibile, esplorando ogni possibile alternativa e verificandone la solidità in termini di piano industriale e di serietà degli interlocutori. La solidarietà vera, non di facciata, con i lavoratori Whirlpool si misura sull’azione concreta per individuare una soluzione imprenditoriale capace di stare sul mercato e di offrire quindi solide prospettive di occupazione produttiva.
Questa drammatica crisi aziendale si dipana sullo sfondo della più generale incertezza economica e sociale dovuta all’incalzare della seconda ondata di Coronavirus. Un nuovo lockdown generalizzato metterebbe a rischio la tenuta del tessuto economico e occupazionale del Paese. Per evitarlo, però, è necessario intervenire subito con misure mirate ed energiche sugli snodi che, favorendo assembramenti, alimentano la diffusione del contagio. Si deve riuscire a salvaguardare non solo — come nella primavera scorsa
— le attività produttive strettamente indispensabili (agroalimentare e farmaceutica, nonché logistica e commercio ad esse connessi), ma la spina dorsale del sistema economico: l’industria nel suo insieme e i servizi a questa connessi, oltre che agricoltura e servizi di pubblica utilità (energia, acqua, rifiuti, trasporti). Per non parlare naturalmente dei servizi sanitari e scolastici.
A tutte le attività che subiranno maggiormente l’impatto delle misure restrittive — turismo, ristorazione, attività ricreative e culturali — vanno garantiti sostegni monetari adeguati a consentire loro di affrontare la «traversata del deserto». E vanno subito predisposti gli strumenti per utilizzare il Recovery Fund e sostenere quella ripresa degli investimenti pubblici e privati che è indispensabile per tenere aperta la prospettiva.
Serve a questo punto un’assunzione vera di responsabilità da parte delle istituzioni: riconoscere in cosa è risultata inadeguata la preparazione per affrontare la seconda ondata; ricostruire subito il senso della coesione tra i diversi livelli di Governo, senza inutili rimpalli di responsabilità, per adottare le misure mirate che sono e saranno necessarie; concentrare le risorse sulle situazioni di sofferenza e sugli investimenti, evitando di sprecarle in distribuzioni a pioggia cui purtroppo, dalle anticipazioni disponibili, non sembra sottrarsi a sufficienza la legge di bilancio in preparazione.