Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Prota: «La sfida di Lavica nel Vomero dei pub»

Con il collega Cocozza propone i nidi con i tartufi di mare IN CUCINA SI RIPARTE

- @gimmocuomo

L’orizzonte è mobile. E anche ristorator­i e cuochi vivono nell’incertezza. In questa situazione si ritrovano Antonio Prota e Pasquale Cocozza, chef del ristorante Lavica, in via Giotto al Vomero.

«Quando è stata decretata la chiusura alle 23 - spiega Prota abbiamo lanciato l’aperitivo. Tre cocktail e vari stuzzichin­i, sempre preparati da noi. Si può consumare tra le 18 e le 20 anche senza obbligo di fermarsi per la cena. Ora lo scenario però sta cambiando. La chiusura totale sarebbe pesantissi­ma. Vediamo che succede».

A prescinder­e dalle limitazion­i imposte dall’emergenza Covid, è difficile fare ristorazio­ne a Napoli?

«Forse, proporre un tipo di cucina creativa è un po’ più difficile perché i napoletani sono legati alla tradizione e pensano che da alcuni locali si esca con lo stomaco vuoto».

Cosa significa fare ristorazio­ne al Vomero?

«Al Vomero ci sono prevalente­mente pizzerie e pub, ma pochi ristoranti come il nostro. Proprio per quest0 abbiamo deciso di aprire qui la nostra vetrina».

Quali sono i vostri clienti più assidui?

«Lavoriamo molto con i vomeresi. Ci consideria­mo un ristorante di quartiere che ambisce a ricevere anche visite forestiere».

Due menti e quattro braccia. Chi comanda in cucina?

«Non c’è alcun comandante. Discutiamo e decidiamo tutto insieme».

I vostri piatti sono figli di un solo padre o portano tutti la doppia firma, come le canzoni di Lennon-McCartney?

«La firma è sempre Lavica ristorante, sintesi di Pasquale Cocozza e Antonio Prota».

Tra i vostri piatti c’è il piccione. Perché ricorrere ai selezionat­ori invece di puntare tutto sui prodotti locali?

«Ma noi puntiamo sui prodotti locali. Il piccione che è stato in carta, era francese, ma ha rappresent­ato un’eccezione».

Il chilometro zero è un principio fondamenta­le, una formula di stile, un imbroglio?

«Un imbroglio certamente no.

Anche noi abbiamo un orticello a San Giorgio a Cremano dal quale provengono in parte gli ortaggi e le verdure che ci occorrono».

Anche se qui nel Sud la pasta resta il pilastro fondamenta­le del pasto, c’è chi sostiene che la bravura di uno chef si misura sui secondi. È d’accordo?

«Sì, ma non solo sui secondi. I secondi spesso sono più tecnici. Bisogna comunque saper fare tutto».

È difficile approvvigi­onarsi di pesce?

«Qui a Napoli no. Solo in caso di cattivo tempo si incontra qualche problema. Quando componiamo il menu, ci assicuriam­o che sia in sintonia col periodo».

Vi capita di lavorare pesce abbattuto?

«Il pesce per i crudi deve essere sempre abbattuto. Per il resto, se si trovano 3 chili di gamberi freschissi­mi vivi, li abbatti perché non puoi venderli tutti».

Uno chef fondamenta­le per la sua formazione?

«Per la mia formazione Lino Scarallo, ho iniziato da lui. E a Palazzo Petrucci ho incontrato Pasquale»».

Uno chef che le piacerebbe affiancare in cucina?

«Sarebbe meglio affiancare tanti bravi chef, non uno».

È giusto secondo lei pubblicare le guide gastronomi­che in un momento caratteriz­zato da evidenti difficoltà come questo?

«Sì, se può spingere la gente a tornare ai ristoranti».

Qual è il piatto più richiesto nel vostro locale?

«Un nuovo antipasto: mozzarella, scampi, arance e funghi pioppini».

Cosa proponete ai lettori?

«I nodi marini con cavolfiore, tartufi di mare e asparagi di mare».

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