Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I pronto soccorso in affanno L’Unità di crisi: non vanno chiusi
«Si comunica ai Direttori Generali che la chiusura di un pronto soccorso può configurare ipotesi di interruzione di pubblico servizio e costituisce comunque una misura straordinaria ed eccezionale. Si chiede dunque di verificare la fondatezza delle circostanze che hanno determinato la chiusura e, laddove si rilevassero comportamenti difformi, di attivare con immediatezza le procedure disciplinari nei confronti dei responsabili». E’ un passaggio della lettera che è stata indirizzata dalla unità di crisi regionale coordinata da Italo Giulivo ai direttori delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere. L’iniziativa è stata adottata dopo che, nei giorni scorsi, si sono ripetuti i casi di ambulanze o privati che non sono potuti accedere alle emergenze dei nosocomi.
E’ accaduto, per esempio, ad un mezzo del 118 che non ha potuto lasciare all’ospedale San Paolo una signora che aveva bisogno urgentemente di una trasfusione. All’autista dell’ambulanza è stato mostrato un fax inviato dal nosocomio di Fuorigrotta alla centrale operativa con il quale si comunicava la chiusura del pronto soccorso ed è dovuto ripartire in cerca di una nuova destinazione. É successo poi a Nola, dove una donna aveva accompagnato in ospedale il padre di 77 anni in preda ad una crisi respiratoria. La signora ha raccontato che l’ambulanza ha trovato il cancello del pronto soccorso serrato con un catenaccio. I motivi per i quali si chiude sono generalmente legati alla necessità di effettuare sanificazioni per il passaggio di un paziente positivo al coronavirus. «Non è però una buona giustificazione – sottolinea un medico che lavora nell’emergenza del Cardarelli – perché le operazioni di disinfezione devono essere eseguite senza bloccare l’attività. Non è tollerabile. É come se un chirurgo in zona di guerra non operasse un paziente che deve essere soccorso perché non ci sono le condizioni ottimali di sterilità. É meglio intervenire comunque che lasciarlo morire». Quella dei pronto soccorsi interdetti, d’altronde, è solo una delle spie che indicano fino a che punto gli ospedali campani e l’intera macchina dell’assistenza sanitaria regionale siano ormai in gravissimo affanno.
«É un dato innegabile e dipende anche dalla circostanza – hanno denunciato ieri Anaao e Cimo,due sindacati dei medici tra i più rappresentativi – che arrivano in
ospedale persone positive al coronavirus che potrebbero tranquillamente essere curate a casa. Pazienti con pochi sintomi. Si accalcano nei nosocomi perché non trovano risposte dalla medicina del territorio, dai medici delle unità speciali di continuità assistenziale che avrebbero dovuto essere potenziate dalla Regione ma che sono poche ed insufficienti rispetto alle esigenze. Se un positivo con pochi sintomi ha la sensazione di essere abbandonato a casa, di non essere adeguatamente seguito da un dottore, è chiaro che si precipiterà in ospedale al primo colpo di tosse o rialzo febbrile». Anao e Cimo lanciano anche un allarme relativo al Monaldi. «Rischia di chiudere sostengono – perché la Regione ha individuato nell’ospedale 24 posti Covid.
É un nosocomio che eroga prestazioni di alta specializzazione in ambito cardiovascolare e pneumologico e non possiamo permetterci di interrompere questo tipo di attività fondamentale per il territorio».
” L’Anaao Pazienti con pochi sintomi si accalcano nei nosocomi Devono curarsi a casa