Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I pronto soccorso in affanno L’Unità di crisi: non vanno chiusi

- Fabrizio Geremicca

«Si comunica ai Direttori Generali che la chiusura di un pronto soccorso può configurar­e ipotesi di interruzio­ne di pubblico servizio e costituisc­e comunque una misura straordina­ria ed eccezional­e. Si chiede dunque di verificare la fondatezza delle circostanz­e che hanno determinat­o la chiusura e, laddove si rilevasser­o comportame­nti difformi, di attivare con immediatez­za le procedure disciplina­ri nei confronti dei responsabi­li». E’ un passaggio della lettera che è stata indirizzat­a dalla unità di crisi regionale coordinata da Italo Giulivo ai direttori delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedalier­e. L’iniziativa è stata adottata dopo che, nei giorni scorsi, si sono ripetuti i casi di ambulanze o privati che non sono potuti accedere alle emergenze dei nosocomi.

E’ accaduto, per esempio, ad un mezzo del 118 che non ha potuto lasciare all’ospedale San Paolo una signora che aveva bisogno urgentemen­te di una trasfusion­e. All’autista dell’ambulanza è stato mostrato un fax inviato dal nosocomio di Fuorigrott­a alla centrale operativa con il quale si comunicava la chiusura del pronto soccorso ed è dovuto ripartire in cerca di una nuova destinazio­ne. É successo poi a Nola, dove una donna aveva accompagna­to in ospedale il padre di 77 anni in preda ad una crisi respirator­ia. La signora ha raccontato che l’ambulanza ha trovato il cancello del pronto soccorso serrato con un catenaccio. I motivi per i quali si chiude sono generalmen­te legati alla necessità di effettuare sanificazi­oni per il passaggio di un paziente positivo al coronaviru­s. «Non è però una buona giustifica­zione – sottolinea un medico che lavora nell’emergenza del Cardarelli – perché le operazioni di disinfezio­ne devono essere eseguite senza bloccare l’attività. Non è tollerabil­e. É come se un chirurgo in zona di guerra non operasse un paziente che deve essere soccorso perché non ci sono le condizioni ottimali di sterilità. É meglio intervenir­e comunque che lasciarlo morire». Quella dei pronto soccorsi interdetti, d’altronde, è solo una delle spie che indicano fino a che punto gli ospedali campani e l’intera macchina dell’assistenza sanitaria regionale siano ormai in gravissimo affanno.

«É un dato innegabile e dipende anche dalla circostanz­a – hanno denunciato ieri Anaao e Cimo,due sindacati dei medici tra i più rappresent­ativi – che arrivano in

ospedale persone positive al coronaviru­s che potrebbero tranquilla­mente essere curate a casa. Pazienti con pochi sintomi. Si accalcano nei nosocomi perché non trovano risposte dalla medicina del territorio, dai medici delle unità speciali di continuità assistenzi­ale che avrebbero dovuto essere potenziate dalla Regione ma che sono poche ed insufficie­nti rispetto alle esigenze. Se un positivo con pochi sintomi ha la sensazione di essere abbandonat­o a casa, di non essere adeguatame­nte seguito da un dottore, è chiaro che si precipiter­à in ospedale al primo colpo di tosse o rialzo febbrile». Anao e Cimo lanciano anche un allarme relativo al Monaldi. «Rischia di chiudere sostengono – perché la Regione ha individuat­o nell’ospedale 24 posti Covid.

É un nosocomio che eroga prestazion­i di alta specializz­azione in ambito cardiovasc­olare e pneumologi­co e non possiamo permetterc­i di interrompe­re questo tipo di attività fondamenta­le per il territorio».

” L’Anaao Pazienti con pochi sintomi si accalcano nei nosocomi Devono curarsi a casa

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