Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Un uomo di sinistra non scherza sulla scuola
In una regione dove c’è un’evasione record certe dichiarazioni fanno accapponare la pelle
Vincenzo De Luca ha due figli grandi e sistemati. Dal punto di vista personale può dunque essere scusato se non ricorda più a che cosa serva la scuola. Tutti gli altri, quelli che hanno prole in età scolare (quorum ego), si sono sentiti però comprensibilmente un po’ offesi dalla sua presa in giro della bambina che piange perché vuole andare a scuola. Si vede che deve essersene accorto, perché ieri ha tentato un po’ goffamente di precisare che non ce l’aveva con le mamme. Si vede che ce l’aveva solo con le bambine.
Magari quella «mammina con la mascherina in tendenza» che il nostro imam ha dileggiato nella sua consueta predica del venerdì, davvero era un agente del nemico, una provocatrice stipendiata, o un’attrice pagata dalla troupe televisiva per mettere in difficoltà il governatore, come lui sembra sospettare. Ma anche se lei mentiva, dicendo della figlia, posso testimoniare sulla base della mia esperienza che sì, i ragazzi a scuola ci vogliono andare. E che quando non possono, quando perdono la socialità che alla scuola è connessa, l’unica di cui dispongano, soffrono; anche più degli adulti privati del ristorante o del cinema.
Se dobbiamo dunque chiudere le scuole per il contagio, almeno non li sfottiamo. L’universo culturale di De Luca sembra essere ancora quello goliardico degli anni del liceo, del «fare filone», dell’età in cui marinare la scuola era un conato di libertà. E ha tentato di presentare la sua decisione di sospendere l’istruzione quasi come un vantaggio per gli studenti, che così possono evitarsi per un po’ noiosi insegnamenti e fastidiose interrogazioni. Ma questo, ammesso che abbia senso per i ragazzi delle superiori, certamente non vale per i più piccoli. Per loro l’atto di libertà è invece proprio andare a scuola, perché consente di placare, frequentando i coetanei, la fame di vita e di relazioni.
Ma lasciamo stare questi aspetti pedagogici. De Luca ama atteggiarsi a uomo che non deve chiedere mai, potrebbe fare prima o poi anche la pubblicità di una lametta da barba o di un aftershave con quella mascella così volitiva e maschia che esibisce, figurarsi se si lascia commuovere per il pianto di una bambina. Però De Luca è anche un dirigente politico con una grande scuola, fucina di una grande cultura progressista. Un comunista del suo tempo, quando i compagni salernitani lo chiamavo Pol Pot, non avrebbe mai irriso la scuola. E questo perché l’educazione era quasi «sacra» in un partito che si batteva per l’uguaglianza, in quanto considerata come il migliore e spesso unico strumento di emancipazione sociale delle classi subalterne. La sinistra di quel tempo si batteva per gli asili nido, per far costruire scuole nei quartieri più disagiati, per dare un’istruzione a chi non aveva i soldi per pagarsi la retta dalle suore, per ridurre il lavoro minorile e l’evasione scolastica, per togliere i bambini dalle strade, metterli nelle mani di insegnanti e dar loro un curriculum.
Non a caso l’istruzione pubblica, gratuita e obbligatoria è un’invenzione della Rivoluzione francese. Fu considerata dagli illuministi il caposaldo di ogni possibile emancipazione, perché solo un popolo in grado di conoscere e di giudicare avrebbe potuto liberarsi del giogo dell’ancien regime, del pregiudizio e della sottomissione. Da allora in poi qualsiasi progetto di liberazione si è fondato sull’istruzione. Sentire oggi un governatore di sinistra scherzare sulla scuola chiusa, in una regione in cui c’è ancora un’evasione scolastica record in Italia, in cui lo sfruttamento del lavoro minorile è tuttora una triste realtà, fa veramente accapponare la pelle.
Chiudete le scuole per ultime, e solo se proprio non se ne può fare a meno. Litigate su quello che volete, ma per favore non scherzate su questo.