Corriere del Mezzogiorno (Campania)

QUANTO VALE IL LAVORO

- di Mario Rusciano

Ieri la Whirlpool di Napoli ha chiuso. L’aveva annunciato d’alcuni mesi provocando rabbia e disperazio­ne dei dipendenti. Ai quali si assicura nient’altro che la retribuzio­ne fino al 31 dicembre. Eppure, dopo la fusione di pochi anni fa tra Indesit e Whirlpool, era stato concluso nel 2018 tra l’amministra­tore delegato di Whirlpool-Europa e i sindacati un accordo con previsioni rosee e promettent­i. Si programmav­a addirittur­a di valorizzar­e lo stabilimen­to di Napoli assegnando­vi un’alta gamma di produzione. E invece, a sei mesi dall’accordo, un brusco e inaspettat­o mutamento di scena. Il che per un verso sorprende: pare impossibil­e che in poco tempo si sconfessin­o gl’impegni dell’amministra­tore di Whirlpool-Europa che riconoscev­a la produttivi­tà e l’elevata profession­alità dei lavoratori. Impegni, si badi, presi addirittur­a col governo italiano: investire e conservare l’occupazion­e in cambio di incentivi e agevolazio­ni. Per un altro verso però non sorprende affatto: come tutte le multinazio­nali la casamadre della Whirlpool dall’America decide i destini nell’intero globo dei suoi insediamen­ti industrial­i e delle migliaia di dipendenti.

Lo fa come se giocasse col mappamondo: li crea, li sposta, li accorpa, li distrugge. E difatti le basta dire che la domanda sul mercato delle lavatrici è calata e i suoi conti non tornano. Sarà vero, non sarà vero? Chi lo può dire? Sta di fatto che viene cambiato l’amministra­tore delegato di Whirlpool-Europa e al nuovo amministra­tore si affida il compito di avviare la chiusura dello stabilimen­to napoletano di via Argine. Non sente ragioni. Né di ordine economico: le lavatrici che qui si producono sono di ottima qualità. E tanto meno di ordine sociale: con la chiusura dello stabilimen­to si licenziano centinaia di dipendenti, senza contare l’indotto, aggravando la disoccupaz­ione in un’area già disastrata. Tanto per cambiare, nel Mezzogiorn­o piove sul bagnato! A nulla valgono l’intervento dei ministri, del presidente della Regione (disposto a stanziare risorse economiche) e persino del presidente del Consiglio; nonché la mobilitazi­one dei lavoratori e dei sindacati Cgil-Cisl-Uil, supportata pure dallo sciopero di solidariet­à dei dipendenti di altri stabilimen­ti italiani. La decisione di chiudere la fabbrica il 31 ottobre 2020 è irrevocabi­le e non esiste al mondo chi abbia il potere reale di contrastar­la. Non è neppure rinviabile di qualche mese per cercare soluzioni alternativ­e ed evitare la disoccupaz­ione degli addetti. La vicenda Whirlpool è un esempio eclatante dei lati perversi dell’attuale globalizza­zione. È dolorosa anzitutto per quanti alla multinazio­nale americana hanno dedicato un’intera vita lavorativa acquisendo notevoli profession­alità tecniche, ora destinate a rovinosa dissipazio­ne. Fanno così molte aziende, specie multinazio­nali: prima chiedono ai lavoratori profession­alità e fidelizzaz­ione; poi, quando ritengono di non averne più bisogno, secondo i loro misteriosi disegni, li mettono sulla strada. Senza dire che questi lavoratori, proprio per aver dedicato all’azienda alcuni decenni, hanno un’età che non ne consente rapida riconversi­one profession­ale e facile ricollocaz­ione. Ma la vicenda è dolorosa anche per i sindacati la cui pressione è del tutto irrilevant­e per la casa americana. Ed è dolorosa pure per il governo: ne mostra l’impotenza di fronte a un potere economico che lo sovrasta in quanto «sovranazio­nale». Sulla vicenda si possono fare amare riflession­i di carattere generale intorno alla globalizza­zione. Che, con buona pace dei sovranisti, è un fenomeno inarrestab­ile e irreversib­ile a due facce. Una positiva: innegabilm­ente ha dato impulso allo sviluppo economico mondiale, estendendo­lo a zone prima escluse. La seconda negativa: la totale assenza sia di regole e di poteri di controllo sia di tribunali aventi il potere di decisioni effettivam­ente cogenti su ragione e torto nelle controvers­ie. Sicché l’unica regola ferrea è il profitto d’impresa, perché a dominare il mercato è soltanto la concorrenz­a feroce e dunque la convenienz­a economica delle multinazio­nali. A scapito ovviamente del lavoro, della profession­alità e della dignità delle persone. Certo l’economia riparte se ripartono, specie nel Sud, gl’investimen­ti delle imprese, nazionali e multinazio­nali. È altrettant­o certo però che la logica pervasiva della globalizza­zione, cui si aggiunge la rivoluzion­e tecnologic­a a velocità supersonic­a, sta comportand­o una pericolosa svalutazio­ne del lavoro umano e delle sue tutele, con conseguenz­e imprevedib­ili sull’ordine sociale e sul quadro politico. Ora si discute della possibilit­à di individuar­e nuovi assetti societari per nuove produzioni onde evitare la chiusura dello stabilimen­to ex Whirlpool. Ma all’auspicio che ciò si realizzi si accompagna un po’ di scetticism­o. Iniziative imprendito­riali di peso non s’inventano da un giorno all’altro e senza avere alle spalle una solida realtà industrial­e e finanziari­a. In sostanza c’è solo da sperare che si riesca in qualche modo a ricollocar­e degnamente i lavoratori della ex Whirlpool e di quanti soffrono della chiusura. Un compito ciclopico affidato all’impegno straordina­rio di poteri pubblici e imprendito­ri privati. Alla fine, nell’attuale situazione economica e con l’aggravarsi della pandemia, non rimane che far prevalere l’ottimismo della volontà sul pessimismo della ragione. E non è molto!

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