Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il violoncello di Redi Hasa sulle orme di Einaudi
La storia del violoncello rubato è piaciuta molto. Al punto da diventare il titolo del primo album a suo nome, The Stolen Cello: lo strumento che gli era stato affidato dal conservatorio di Tirana e che il giovane Redi Hasa pensò bene di portare con sé in Italia quando negli anni Novanta decise di partire.
La sua vicenda racconta di un grande talento e di un’altrettanto grande capacità di adattamento; qualità importanti per integrarsi come ha saputo fare Hasa con i musicisti del Salento, sua terra d’approdo.
Poi a Melpignano, durante una Notte della Taranta, Ludovico Einaudi chiamato a governare il concertone finale si accorse di lui e volle portarlo nei suoi gruppi in giro per il mondo.
Adesso è la stessa etichetta di Einaudi, la Ponderosa di Titti Santini, a pubblicargli The Stolen Cello, concesso in licenza alla Decca. Un disco bello, estremamente lirico, basato unicamente sul violoncello e su piccole alchimie di suono in studio di registrazione. Le composizioni sono dello stesso Redi Hasa, impregnate di musica tradizionale balcanica che per le nostre orecchie è già Oriente: tempi dispari e composti, micro-intervalli. Non mancano gli episodi più austeri: Wave, ad esempio, ha un incipit molto bachiano e uno sviluppo cameristico ricco e sfaccettato.
Le melodie sanno essere struggenti, come in Dajti Mountain dedicata ai monti che circondano Tirana, ma anche mosse e giocose (Little Street Football
Made of Socks, o Time). I titoli rimandano a piccole storie autobiografiche, e sono tradotti in inglese dall’originale albanese perché Stolen
Cello ha l’ambizione dichiarata di spiccare un altro salto: questa volta verso il mercato internazionale.