Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Whirlpool chiude Gli operai non mollano: restiamo qui
De Magistris incontra i lavoratori e ripropone il piano per creare «un’azienda bene-comune» Lavoratori e sindacati: è pura fantascienza. Il Pd: «Nazionalizzare sarebbe da irresponsabili»
Nonostante sia stata ormai staccata la spina ai reparti di produzione, i lavoratori dello stabilimento Whirlpool non ne voglio sapere di lasciare la fabbrica: resteranno nella sala assemblee e nel piazzale dell’ingresso. Il sindaco de Magistris incontra i lavoratori e propone il piano di un’azienda bene-comune. Perplessi operai e sindacati.
Nonostante sia stata ormai staccata la spina ai reparti di produzione, i lavoratori dello stabilimento Whirlpool di Napoli non ne voglio sapere di lasciare il presidio in fabbrica. Almeno fino a quando per loro non sarà trovata una soluzione concreta hanno deciso, in accordo anche con i sindacati, che resteranno nel sito di via Argine, nella sala delle assemblee e nel piazzale dell’ingresso, ma non potranno più accedere ai locali adibiti all’attività produttiva ormai bloccata.
Stabilimento che si ferma del tutto per la prima volta dopo quasi 60 anni di attività ininterrotta. Ieri, dopo aver trascorso alcuni operai la prima notte all’interno del perimetro di fabbrica, si è svolta l’assemblea indetta dalla Rsu, aperta alle forze politiche, sociali e istituzionali. Iniziativa a cui ha preso parte, tra l’altro, anche il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che ha riproposto il suo “cavallo di battaglia” degli ultimi tempi quale “unica” soluzione della vertenza e cioè «far diventare questo luogo — ha spiegato il sindaco — il primo esempio di una “fabbrica bene comune”, dove governo, Regione Campania e Città metropolitana acquisiscono le azioni della Whirlpool con un’attività di produzione e se nel caso anche di riconversione, con i lavoratori che entrano nell’organizzazione e nella produzione». Una proposta che de Magistris si dice certo essere fattibile, pur non entrando mai nei dettagli, e dichiarando ieri, di fronte allo sbigottimento dei presenti, che è disposto a «mettere i soldi che il Comune non ha».
Parole accolte non proprio bene dalle tute blu; per sindacati e lavoratori sembrano allo stato attuale «pura fantascienza». In disaccordo anche la senatrice napoletana del Pd Valeria Valente che non usa mezzi termini: «Ora è necessaria una politica seria, responsabile e autorevole — afferma la parlamentare — anche per questo credo che il solo ventilare, di fronte a 400 famiglie che rischiano di perdere posto e stipendio, l’ipotesi di una possibile “nazionalizzazione” del sito o la sperimentazione di una nuova forma di gestione di beni comuni da parte di Comune, Città metropolitana e Regione, come ha fatto il sindaco di de Magistris, sia davvero da irresponsabili». Comunque, per i sindacati il caso non è affatto concluso. «La vertenza è aperta — conferma il segretario generale della Fiom di Napoli, Rosario Rappa
— i lavoratori non mollano e sanno che gli unici due soggetti che non hanno cambiato idea sono l’azienda, che dal primo giorno dice che bisogna chiudere, e il sindacato, che dal primo giorno dice che bisogna continuare a produrre lavatrici».
«I lavoratori di Napoli, il sindacato, la città e tutti quelli che hanno capito il valore della vertenza — sottolinea invece il leader della Uilm Campania Antonio Accurso — non molleranno, siamo noi l’Italia che resiste, il governo batta un colpo e faccia valere il suo peso. Se non si troverà una soluzione nessuno potrà ritenersi assolto». «La lotta continua — ha ribadito Raffaele Paudice, della segreteria Cgil di Napoli, intervenendo, a nome dei confederali di Napoli — e il 5 novembre noi saremo in piazza con tutta la città di Napoli per portare la solidarietà a Whirlpool ma non solo». Per il consigliere regionale Massimiliano Manfredi «lo Stato dovrà mettere in campo qualsiasi strumento al fine di salvare l’azienda e assicurare la ripresa del ciclo produttivo».
Decine e decine le manifestazioni di solidarietà che sono giunte ieri ai lavoratori di Whirlpool Napoli da tutta Italia. Non a caso questa vertenza ha fatto comprendere al mondo del lavoro che in Italia se una multinazionale, dopo aver preso ingenti fondi statali siglando un accordo con il governo, cambia poi i piani e decide di andare via, desertificando così i territori in cui avrebbe dovuto investire, di fronte a sé non trova alcun ostacolo da parte delle istituzioni.