Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Campania salvata dalle chiusure»
Da «arancione» a «gialla». Rezza: basso indice di contagio. Brusaferro: conta il coefficiente di rischio
Gli esperti del ministero della Salute spiegano perché la Campania, nonostante le previsioni, è rimasta (per ora) in zona gialla. Ha pesato l’indice di contagio più basso.
La premessa è obbligatoria. Il giallo non è un via libera collettivo. Sarebbe irresponsabile pensare che con circa 4.000 contagi al giorno, un sistema di tracciamento collassato, gli ospedali presi d’assalto, le carenze di personale e da qualche giorno anche di bombole di ossigeno, si possa pensare che il virus sia scomparso dai radar vesuviani.
L’area gialla «a rischio moderato» ha «probabilità elevata di progredire a rischio alto nel prossimo mese», secondo dizione governativa. Ma anche da domani. La Regione Campania è, infatti, classificata come area gialla, ma con alert. Insieme a Lazio e Abruzzo. Nel senso che la diffusione del virus, purtroppo in rapida evoluzione, potrebbe mutare la misura da giallo ad arancione. E già nel prossimo week-end. La cabina di regia, che monitora i dati (della settimana precedente), si riunirà già oggi per verificare l’andamento del virus regione per regione e quindi già tra sabato e domenica il colore campano potrebbe cambiare di sfumatura. Detto questo siccome alle restrizioni nazionali si aggiungono anche quelle regionali, è in atto di fatto un lockdown light.
Il punto è un altro, però. Perché la Campania dei picchi è gialla e non arancione? Cosa ha fatto retrocedere (perché di retrocessione si tratta visto che a Palazzo Santa Lucia erano convinti di essere area arancione) Napoli e dintorni in una fascia moderata? Al di là della polemica politica tra centrodestra (zone rosse sono le tre regioni di centrodestra) e centrosinistra che in piena pandemia lascia il tempo che trova, sono i campani a chiederselo da quando il premier Giuseppe Conte l’ha annunciato.
A spiegarlo sono corsi, ieri, i pezzi da novanta della sanità nazionale, Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità e Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute. Per fugare ogni dubbio Brusaferro ha spiegato come si arriva alla definizione, praticamente automatica, non discrezionale e condivisa, delle aree di rischio: «Il flusso delle informazioni su base settimanale viene generato nei servizi sanitari regionali, vengono dalle Asl, assemblati dalle Regioni e inviati all’Iss e ministero, questi vengono valutati secondo una dimensione di rischio. Questo viene fatto in stretta collaborazione tra i servizi regionali, Iss e Ministero». Anche i famigerati 21 parametri sono conosciuti e condivisi.
Nella cabina di regia nazionale ci sono tre rappresentanti della conferenza Stato-Regioni, tra cui il campano Enrico Coscioni. Che infatti spiega perché la Regione Campania è «gialla», per ora. «L’indice di trasmissibilità, l’Rt, è più basso che in Lombardia o in Calabria, anche se il numero di casi positivi è più alto».
Come è possibile che l’indice Rt campano è di 1,29? Lo spiega Rezza: «È più basso, anche se sopra all’1, perché la trasmissione è aumentata nelle scorse settimanale ma si è un po’ fermata e vi dà ragione della sofferenza del sistema sanitario. Gli interventi regionali potrebbero aver avuto un certo effetto sulla trasmissione». Ma poi prosegue: «Una regione può avere aree di sofferenza e aree di minor sofferenza, globalmente la media dell’Rt è più bassa». Cioé cosa vuol dire. Che l’Rt si calcola solo su base regionale e non provinciale (cosa che faranno dalla prossima settimana), si tratta di una media, dunque, tra l’ipotetico indice alto di Napoli e provincia e quello eventualmente più basso di Benevento.
Altro parametro fondamentale è quello delle terapie intensive. «La Campania — prosegue Coscioni — ha 170 persone in terapia intensiva, la Lombardia 500, il Piemonte 233, il Lazio 217. Siamo al di sotto del 30 per cento». Ma su quale numero totale? Basta leggere il bollettino quotidiano: ieri su 243 posti attivabili, 174 erano occupati. Il numero delle terapie intensive in Campania, stando ai dati di Palazzo Santa Lucia, è però 590. Tante quante potenzialmente possono essere allestite. Ma che attualmente non lo sono. Se i ventilatori sono arrivati, sappiamo perché lo ha detto De Luca, così come i suoi esperti, che mancano anestesisti e rianimatori. Allora la domanda è: l’algoritmo ne conta 590 o 243?
Sul sito del ministero della Salute ci sono tutti i dati parametro per parametro. Oltre all’Rt e alle terapie intensive, l’occupazione delle aree mediche supera il 50 per cento. L’aumento della trasmissione è considerato moderato, l’impatto sui servizi sanitari basso, da qui la classificazione «moderata con probabilità di alta progressione». L’allerta riguarda, invece, il tempo tra la data di inizio dei sintomi e la diagnosi, che è in aumento. Quanto al sistema di tracciamento, il numero di casi in cui è riportato il comune di domicilio o residenza è la più bassa d’Italia.