Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La città senza rughe La profezia di Ritondale
In un romanzo scritto prima della pandemia l’autore immagina una società basata sulla “iuventucrazia” Emarginati gli anziani «non produttivi»
Avolte accade che la letteratura anticipi la realtà. E in fondo non c’è da stupirsene. Perché gli scrittori dispongono di antenne speciali capaci di intercettare quel che si annida nel fondo oscuro di una società e di un’epoca. Cioè: umori, fastidi, insofferenze di cui magari non si ha piena coscienza e che non si confessano neanche a se stessi. A meno che un’emergenza, un trauma collettivo, un patatrac non allenti autocontrollo e autocensura. Allora quel che non avrebbe dovuto venir fuori erutta alla luce, incontenibile e imbarazzante come una flatulenza. A cosa mi riferisco? Da una parte allo “scivolone” di Giovanni Toti, che, parlando degli anziani fra i quali la pandemia ha fatto strage, li ha definiti “improduttivi”, dichiarazione per cui è stato ovviamente subissato di insulti. Dall’altra al romanzo di Roberto Ritondale, La
città senza rughe, pubblicato da poco da Bookroad, ma scritto quando l’esplosione del contagio non la prevedeva nessuno. Libro che a prima vista potremmo catalogare tra la narrativa futuribile e invece è qualcosa di molto diverso. Perché, a differenza dei tanti romanzi ambientati nell’avvenire prossimo o remoto, l’opera di Ritondale suscita riflessioni e domande che contano. Anche se al tempo stesso ci avvince con i continui colpi di scena e l’altalena di sentimenti del protagonista.
Sia chiaro: grazie a Dio, oggi la realtà immaginata dall’autore non esiste, tuttavia è innegabile che non mancano avvisaglie di un processo involutivo che potrebbe concretizzarla. E allora scopo del listralunato bro è forse proprio metterci in guardia: perché abbiamo imboccato una strada che può portarci oltre i limiti in cui vigono le ragioni dell’umanità.
Dunque: il romanzo narra che, essendo andata in pezzi l’Italia unita e repubblicana in seguito a un attentato al Presidente, ogni regione si è resa autonoma e Como (dove si svolge la vicenda) è retta da un dittatore. E fin qui restiamo nell’ambito di paure che turbano il sonno di molti, perché sappiamo che di colpi di stato ne avvengono ovunque e che la nostra democrazia traballa. Ma… sentite il resto: a Como la dittatura ha instaurato una “iuventucrazia”, neologismo che indica un regime in cui i giovani godono di ogni privilegio, mentre i vecchi sono penalizzati. Perché? Per i motivi che il “Il Grande Libro delle norme” elenca a ammaestramento del popolo. Uno: i vecchi non producono. Due: i vecchi costano, con gli infiniti malanni che si fanno venire. Tre: i vecchi condizionano i parenti che, per assisterli, rinunciano a svagarsi,con ingente danno economico per la comunità. Quattro: i vecchi hanno corpi cadenti e volti rugosi che guastano la scenografia dell’ambiente. Cinque: i vecchi non fanno che tirare in ballo i sentimenti, dando un pessimo esempio ai giovani che devono venir su duri e spietati.
Ed ecco le misure adottate affinché la realizzazione dell’auspicato modello di società non sia compromessa da questa torma di matusalemmi. Esse decretano: che gli anziani non godano di pensioni e assistenza sanitaria. Che, una volta compiuti 75 anni, siano confinati in ospizi–lager (col doppio vantaggio che i giovani occupano le case sgomberate e che le badanti straniere ormai inutili, non avendo chi accudire, sono rimandate al paese loro, ossia: a “quel paese”). E che, siccome sarebbe uno spreco lasciar vivere chi è privo di affetti, se per due anni non ricevono visite dai parenti, vengano eliminati.
E i non anziani? Ecco: poiché in un regime che si rispetti il controllo è esigenza primaria, devono portare un piercing che permetta continua sorveglianza e il cielo è solcato notte e giorno da droni onniveggenti. Inoltre, com’è giusto in una società che deve e vuole essere agile, aggiornata ed esteticamente irreprensibile, si spostano solo su monopattini elettrici, vivono in simbiosi con l’eye-Phone, si affollano nelle palestre e nei centri estetici e nessuno (sommo Leader incluso) si sottrae al periodico lifting.
Allora, tirando le somme: è il caso di prenderlo sul serio questo libro, o dobbiamo ritenerlo un passatempo e basta?
Ebbene: se mi è lecito un paragone che forse suona irrispettoso, nel senso che tiro in ballo un testo sacro del ‘900, a me pare che, come Orwell, scrivendo La fattoria degli animali, finge di narrare una favola disimpegnata e in realtà scende in campo per denunciare al mondo gli orrori del “paradiso” sovietico, così Ritondale, facendo mostra di scherzare, ci mette in guardia contro gli equivoci e i trabocchetti che insidiano questo inizio di millennio.
Vediamo. Il culto del corpo: sacrosanto se finalizzato a vivere più a pieno, ad avere un contatto intimo con la natura, a raggiungere nuovi traguardi. Ma fenomeno allarmante da contrastare se i muscoli servono solo a praticar violenza, e la cura del nostro aspetto diventa ossessione totalizzante e alibi che esenta dal riflettere e responsabilizzarsi.
Poi, gli anziani soppressi quando le famiglie li scordano. Un paradosso mostruoso: ma come? L’irrinunciabile esigenza d’amore insita in tutti ribaltata in legittimazione al delitto! Però, prima di sdegnarci, facciamo il conto di quanti paradossi non meno raccapriccianti ospita il mondo reale. Infine, il tema centrale, cioè il nostro rapporto con la terza età: beh, anche se, tranne non rari casi di solitudini totali, ai vecchi si continuano a elargire affetto e anche gratitudine per il supporto che spesso danno alle finanze domestiche (non saranno più “produttivi”, mio caro signor Toti, ma in passato si sono affaticati a “produrre” e, senza le loro pensioni e risparmi che hanno accantonato, in molte famiglie si resterebbe a bocca asciutta), è anche vero che a volte si sentono guardati come potenziali bombe a orologeria, per la vulnerabilità che li contrassegna, ora sottolineata dalla pandemia, ma che, anche in condizioni non emergenziali, è percepita come una minaccia. Ma, a non farci prendere alla leggera la situazione immaginata dall’ autore, a me pare debba essere soprattutto un fenomeno finora sottovalutato: la scomparsa di quel sistematico “passaparola” con cui ogni generazione trasmetteva alla successiva esperienze e consapevolezze. Com’è possibile che un bagaglio così prezioso abbia smesso di interessarci e che per la prima volta nella storia gli anziani si trovino amputati del compito che è sempre stato loro dovere e privilegio? Ma allora abbiamo dimenticato che, senza conoscere il passato, è impossibile comprendere il presente e costruire il futuro? È merito di Ritondale indurci a formulare queste domande.