Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Sciovinismo regionale in salsa calabrese
Adesso abbiamo capito perché siamo in questo guaio. L’intervista televisiva al commissario del governo per la sanità calabrese ha rivelato l’abisso di impreparazione e approssimazione con cui ci siamo avvicinati alla seconda ondata. I risultati sono purtroppo sotto i nostri occhi. E lo scandalo non può davvero riguardare solo la Calabria o il singolare personaggio che era stato preposto a tutelare la sua salute. Perché quel signore rappresentava il governo della Repubblica, e senza un servizio giornalistico sarebbe rimasto tranquillo al suo posto, visto che da Roma nessuno aveva finora chiesto conto alla Calabria della sua condizione, ammesso che se ne fosse reso conto.
Non è l’unico aspetto incomprensibile in questa storia dell’Italia a colori, divisa in tre fasce.
Per esempio: tutti gli esperti ci dicono che, a differenza dell’ondata di primavera, questa seconda ha la caratteristica di essere diffusa su tutto il territorio nazionale, e anzi di mostrarsi più violenta proprio laddove la prima colpì meno. È indicativo il caso di Bergamo e di Brescia, le due aree travolte dallo tsunami di primavera e oggi invece meno interessate al contagio di altre zone limitrofe della Lombardia. Questo dato dovrebbe spingere nel senso di una omogeneità di provvedimenti. Oppure, al contrario, indurre a interventi di precisione quasi chirurgica nel definire norme diverse tra le diverse aree diversamente interessate al fenomeno. Insomma: o il bazooka del lockdown generalizzato o il bisturi delle zone rosse locali.
L’altra volta, in primavera, il ritardo e la timidezza nel ricorrere a zone rosse locali ci portarono ahinoi a un lockdown generalizzato. Non vorrei che la cosa si ripetesse oggi con il lockdown a fasce.
L’altro punto debole è la raccolta e l’utilizzo dei dati. Ci è stato detto che a decidere chi sta in una fascia e chi in un’altra è un paniere di 21 parametri, pubblici anche se poco comprensibili dal pubblico. Però non risulta che sia stato reso noto, neanche agli esperti che non fanno parte della cabina di regia, come funzioni la combinazione di quei parametri, cioè che peso abbiano l’uno rispetto all’altro, e se questo peso è fissato una volta e per sempre o può essere variato a discrezione della «cabina di regia»: in una parola, l’algoritmo che presiede al sistema delle fasce.
Per giunta ci sono dubbi, ormai apertamente espressi, sulla corrispondenza alla realtà dei dati forniti da parte delle Regioni. Proprio ieri il presidente del Consiglio Superiore della Sanità, il professor Locatelli, ha detto al Corriere che «in qualche Regione esiste una evidente, poco spiegabile distonia, rispetto ad altre realtà regionali, tra numero dei soggetti con tampone positivo e numero dei sintomatici». Eppure è sulla base di questi dati che si definiscono le fasce.
Nella confusione generale, bisogna dire che stavolta la Campania spicca in senso positivo. La nostra Regione, cioè il suo Governatore, non sembra aver commesso l’errore di tante altre, dal Piemonte alla stessa Calabria, le quali considerano la fascia in cui sono state messe come un’onta o come una condanna. Il caso della Calabria ci dice quanto sia sciocco protestare con Roma per essere finiti in fascia rossa quando a Cosenza non si è fatto ciò che andava fatto per non finirci. Anzi, De Luca quasi rimpiange il fatto di non aver trovato la sua Regione nell’elenco di quelle con regole di distanziamento più ferree, perché convinto che chi soffre oggi uscirà prima dall’emergenza, e magari riuscirà cosi ad avere un Natale quasi «normale»; mentre chi è lasciato più «libero» come la Campania rischia di dover invece stringere i freni proprio durante le Feste, con danni economici e psicologici anche maggiori.
Non aver partecipato per una volta alla gara di sciovinismo regionale che sembra aver conquistato l’Italia, in una Babele di voci e in una confusione di poteri che sta togliendo credibilità all’intero sistema, è stavolta un merito, e va segnalato. Abbiamo già commesso una volta l’errore di cantare vittoria, convinti che il Sud se la fosse cavata per meriti speciali. Stiamo invece tutti nella stessa barca. E l’unico modo di salvarci è remare insieme.