Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Addio a 60 mila posti E l’economia «arretra» al 1988
La Cgia: ogni campano, nell’anno del Covid, avrà a disposizione 1.400 euro in meno. Occupazione giù e il Pil «scivola» di 32 anni
Sessantamila posti di lavoro in meno — rispetto al 2019 — sono tanti, tantissimi, ma si tratta, al netto dei proclami della politica, di un trend purtroppo prevedibile. Anzi, vista la situazione, il dato poteva essere anche più grave (a drenare la perdita di occupazione è stato soltanto il blocco dei licenziamenti). Ed era scontato anche che i cittadini campani avrebbero avuto meno soldi in tasca al tempo del Covid (-1.400 euro annui). Quello che colpisce di più del dossier diffuso ieri da Cgia, invece, è l’arretramento del Pil regionale al 1988.
«Nessuno sarà lasciato
NAPOLI solo...». «Nessuno perderà il lavoro per il Covid...». Bene, giustissimo. Però adesso bisognerà spiegarlo ai quasi 60 mila cittadini della Campania (57.700, per l’esattezza) che — secondo il report diffuso ieri dalla Cgia di Mestre «e basato su dati di Prometeia e Istat» — nel 2020 hanno dato (o meglio, dovuto dare) l’addio al proprio impiego. Un dramma — fotografato paragonando il numero di occupati del 2019 e quelli di quest’anno — che si è consumato nonostante l’introduzione del blocco dei licenziamenti; come dire: gli effetti della crisi al tempo della pandemia potevano e potrebbero essere ancora più dirompenti.
L’ufficio studi dell’associazione delle piccole imprese e degli artigiani veneti, però, va anche oltre. A causa del virus, sempre nel 2020, ogni residente della nostra regione perderà 1.433 euro (-8,8% il valore aggiunto procapite rispetto al 2019). I napoletani quelli che ci rimetteranno di più: 1.516euro.
Ma a creare allarme — soprattutto nel Mezzogiorno — sono gli effetti della riduzione del Pil. «Anche se subirà un calo più contenuto nei confronti di tutte le altre macro aree del Paese (- 9% rispetto alla media Italia: -9,7) il Sud vedrà scivolare l’economia allo stesso livello del 1989». In termini di ricchezza, dunque, «retrocederà di ben 31 anni. Su base regionale, invece, Campania, Molise e Calabria torneranno allo stesso livello di prodotto interno lordo reale conseguito nel 1988 (32 anni fa), mentre la Sicilia arretrerà nientemeno a quello del 1986 (34 anni orsono)».
L’associazione mestrina, peraltro, tiene a precisare «che i dati emersi in questa elaborazione sono sicuramente sottostimati. Aggiornati al 13 ottobre scorso, non tengono conto degli effetti economici negativi che deriveranno dagli ultimi Dpcm che sono stati introdotti in queste ultime due settimane». E ancora: «In questa elaborazione la previsione della caduta del Pil nazionale dovrebbe sfiorare quest’anno il 10%, quasi un punto in più rispetto alle previsioni comunicate il mese scorso dal Governo attraverso la Nadef», ossia la Nota di Aggiornamento
del Documento di Economia e Finanza.
«Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti — dichiara il coordinatore dell’ufficio studi Paolo Zabeo — rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale. Soprattutto nel Mezzogiorno, che è l’area del Paese più in difficoltà c’è il pericolo che le organizzazioni criminali cavalchino il disagio traendone un grande vantaggio in termini di consenso». In questa fase di emergenza, «tutto ciò va assolutamente evitato, sostenendo con contributi a fondo perduto non solo le attività che saranno costrette a chiudere per decreto, ma anche una buona parte delle altre, in particolar modo quelle artigianali e commerciali».