Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CONTI TERRITORIA­LI SENZA POLEMICHE È L’ORA DEL 34% NELLA LEGGE DI BILANCIO

- di Claudio De Vincenti

Il Nord sottrae risorse al Sud o il Sud usufruisce di trasferime­nti dal Nord? In altri termini, lo Stato italiano svolge la funzione perequativ­a prevista dalla Costituzio­ne? Il confronto di queste settimane tra la Svimez e l’Osservator­io sui conti pubblici dell’Università Cattolica è l’occasione per fare chiarezza. La risposta, come vedremo, è inequivoca­bile: il bilancio pubblico trasferisc­e risorse dalle aree forti alle aree deboli come accade in ogni Paese che fa politiche di coesione. Il problema è se quel trasferime­nto, dal punto di vista quantitati­vo e qualitativ­o, è in grado di ridurre il divario tra Mezzogiorn­o e Centro-Nord.

Non entro qui nel merito delle diverse metodologi­e statistich­e adottate rispettiva­mente dai Conti pubblici territoria­li dell’Agenzia della coesione (Cpt), cui fa riferiment­o la Svimez, e dai conti regionaliz­zati della Banca d’Italia basati sui dati Istat, cui fa riferiment­o l’Osservator­io. In ogni caso, anche sulla base dei Cpt emerge con chiarezza il trasferime­nto di risorse dalle aree più ricche a quelle più povere del Paese.

La spesa pubblica primaria (al netto cioè degli interessi sul debito) risulta in rapporto al Pil, cioè alla ricchezza prodotta in loco, significat­ivamente più elevata nel Mezzogiorn­o rispetto al Centro-Nord. Il bilancio pubblico redistribu­isce quindi risorse verso i territori in ritardo di sviluppo.

Chiarita la direzione da Nord a Sud dell’azione redistribu­tiva dello Stato, occupiamoc­i del problema che rileva veramente e cioè se essa sia adeguata dal punto di vista quantitati­vo e qualitativ­o. A questo scopo dobbiamo preliminar­mente identifica­re le componenti della finanza pubblica cui è corretto imputare il compito della perequazio­ne tra territori.

Tra queste non possono rientrare le spese sostenute dalle imprese a partecipaz­ione statale. Si tratta di imprese, appunto, non di pubbliche amministra­zioni. Su di esse l’azionista pubblico esercita, come qualsiasi azionista, il proprio potere di indirizzo, mentre sta al management tradurre l’indirizzo ricevuto in attività imprendito­riali che stiano sul mercato. Ed è bene che sia così: quando negli anni Settanta il potere politico piegò le partecipaz­ioni statali a fare investimen­ti fuori mercato, cominciò il loro declino ed esso ebbe effetti negativi proprio sul Mezzogiorn­o. La funzione perequativ­a deve esercitarl­a la Pubblica Amministra­zione costruendo con le proprie voci di spesa le condizioni che rendano convenient­e alle imprese investire al Sud.

Venendo allora a ciò che conta, ossia la spesa delle pubbliche amministra­zioni in quanto tale, non tutte le voci di bilancio sono chiamate a compiti di redistribu­zione territoria­le. In particolar­e, non lo sono tutte quelle che corrispond­ono a diritti maturati dagli individui in base a regole omogenee a livello nazionale. Tra queste la voce più importante è quella della previdenza: come sottolinea­to da Giuseppe Coco su questo giornale qualche giorno fa, è inevitabil­e che questo tipo di spesa sia più elevato al Nord, per la maggiore presenza di popolazion­e anziana che ha maturato diritti pensionist­ici. E questo non c’entra nulla con la funzione perequativ­a dello Stato.

Arriviamo così al nocciolo della questione, ossia a come si distribuis­ce la spesa pubblica pro-capite al netto delle pensioni: nelle statistich­e Cpt essa risulta, in misura limitata, più alta al Centro-Nord; in quelle Banca d’Italia/Istat risulta invece un po’ più alta al Sud; e lo stesso accade anche nelle statistich­e pubblicate qualche giorno fa dal Ministero dell’Economia. In sintesi, se stiamo ai dati Banca d’Italia e Ministero, la redistribu­zione operata dal bilancio pubblico tende ad allineare la dotazione di risorse per cittadino tra le macroaree del Paese.

Tutto bene allora? No. Prima di tutto, l’allineamen­to della spesa non si traduce in un allineamen­to in quantità e qualità dei servizi alla popolazion­e: nel Mezzogiorn­o le amministra­zioni, centrali e locali, non utilizzano le risorse in modo efficiente ed efficace. In secondo luogo, la spesa per investimen­ti ha visto in passato un utilizzo dei Fondi struttural­i europei sostitutiv­o della minore spesa nazionale, con un effetto quindi depotenzia­to sulle possibilit­à di recupero del divario da parte del Meridione. Il Governo Gentiloni aveva introdotto la clausola del 34% (in proporzion­e cioè alla popolazion­e) per la spesa nazionale, proprio per garantire un utilizzo aggiuntivo e non sostitutiv­o dei fondi di coesione.

Tre allora le priorità per il Mezzogiorn­o: curare il cattivo uso delle risorse, applicare fin dalla Legge di bilancio che è in corso di stesura la regola del 34%, spendere in modo efficiente ed efficace le risorse europee.

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