Corriere del Mezzogiorno (Campania)
TROPPA SANITÀ, POCA SALUTE
Domani è un altro giorno». Dubito che si possa attendere il nostro domani con fiducia pari a quella che vi riponeva la protagonista di Via col vento. Andrò a dormire dopo una bella giornata di sole e col ricordo d’una domenica in cui, restando a casa, m’è stato dato scorgere e invidiare i tanti che sguazzavano nelle acque di Posillipo. Al risveglio temo che il color giallo conferito alla mia regione possa mutare in arancione o, ancor peggio, in rosso. Imponendolo la modifica dell’algoritmo col quale il governo delinea la geografia sanitaria del Paese. L’algoritmo: parola che si assume come perentoria. Un prodotto di calcoli matematici. Già, ma come ogni sistema, presuppone che ci sia chi dia le cifre — 21 numeri, attesi da ciascuna regione — esperti che le elaborino e governanti che ne traggano conclusioni. Confidando che il procedimento sia corretto in ogni sua fase. È da una settimana che qui in Campania l’inquietudine cresce. Vedi in tv le fila di auto in coda innanzi ad ogni ospedale ove si effettuino i tamponi. Via crucis per i prelievi; lunghe e spasmodiche attese per conoscerne l’esito.ite sospese nell’incertezza; lavorare? Isolarsi? Ci suggeriscono di affidarci ai medici delle Asl; ma son tutti gravati da centinaia di assistiti. Curarsi in casa? Vano cercare bombole d’ossigeno: scomparse dalle farmacie.
Nel caso di sintomi rilevanti, è drammatica la ricerca di ambulanze. Ancor più quella del letto in un reparto specialistico. Questa la realtà. Alla quale s’oppone, in una contraddizione che non dà conforto bensì preoccupazione, lo spettacolo delle moltitudini che affollano vie del mare, parchi, piazze, spiagge. Perché godono, certo, di ore felici, ma a rischio d’un proprio contagio, trasmissibile ai congiunti. Eppure le tabelle sanitarie diramate da uffici regionali hanno finora dato per Napoli e Campania disponibilità di posti letto in aree Covid e reparti di rianimazione: in esubero rispetto all’occupazione effettiva. Tuttavia al ritmo di oltre 4000 contagi quotidiani il personale sanitario d’ogni grado teme crisi incontrollabili. Ed allora com’è che l’algoritmo ci ha finora dipinti di giallo? In Lombardia e Piemonte, regioni colorate di rosso, polemizzano col governo paragonando la loro alla nostra situazione. C’è chi sospetta che valutazioni politiche influiscano sulle differenti colorazioni della geografia sanitaria, cui corrispondono vincoli diversi a mobilità ed attività lavorative. Il governo respinge l’illazione che vedrebbe regioni di centrodestra penalizzate a fronte delle residue rimaste omogenee alla maggioranza parlamentare. Ma altra ipotesi serpeggia, per Napoli e Campania: che entri in gioco un’opzione di carattere socio-economico. Troppi coloro che qui sopravvivono di «lavoro nero», non raggiungibili dalle misure di «ristoro» finora varate; quindi possibili protagonisti di irrefrenabili reazioni di piazza. A ripercorrere il succedersi di dichiarazioni autorevoli — del premier, ministri, presidenti regionali, sindaci — torna a mente una battuta di Paul Claudel: «Mi riservo, con fermezza, il diritto di contraddirmi»! Lasciando comunque da parte contraddizioni e polemiche varie, a cominciare dagli ormai insopportabili scambi d’insulti tra De Luca e de Magistris, e guardando alla scena nazionale si percepisce il riemergere di perplessità circa l’organizzazione dell’intero sistema cui è affidata la tutela della salute degli italiani. Col Covid vengono al pettine i nodi d’un federalismo sanitario rafforzato dalle modifiche del titolo V della Costituzione (2001). Agiscono 21 differenti sistemi sanitari dai quali emergono inaccettabili diseguaglianze tra cittadini, a seconda delle regioni in cui risiedono. Non possono certo dirsi favorite le meridionali: per colpe di governi; per inefficienze, talvolta misfatti, locali. È uno dei «paradossi federalisti» sui quali argomentava un grande geografo, Calogero Muscarà, per me amico e maestro, che trovo doveroso ricordare a pochi giorni dalla sua scomparsa. Un’ipotesi di riordino del sistema seguì le sorti del referendum Renzi del 2016: travolto insieme al resto delle modifiche costituzionali proposte. Così ci avvediamo che ci resta troppa sanità, ma poca salute.