Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Il triage nelle auto in fila Immagini mediatiche: in molti tornano a casa»
Giuseppe Fiorentino, direttore di Pneumologia: la battaglia al virus nella trincea del Cotugno
Giuseppe Fiorentino, primario di Pneumologia del Monaldi, da marzo scorso in trincea al Cotugno per l’emergenza Covid: «Il triage nelle auto in fila è necessario. Poi, però, in tanti tornano a casa». Il primario aggiunge: «Le immagini trasmesse in tv hanno un grande effetto mediatico e generano panico. Molti pazienti non trovano sostegno nella medicina territoriale e si precipitano in ospedale».
Ambulanze e auto in fila davanti al Pronto soccorso dell’ospedale Cotugno fotografano la situazione di emergenza, ma anche quella di forte pressione che si avverte all’interno del presidio infettivologico. Medici e infermieri alle prese con turni massacranti, con la frustrazione, talvolta, di non poter visitare tutti i pazienti. Giornate interminabili e notti che trascorrono provando a salvare quante più vite possibile, intervallate dal sorriso di chi invece più fortunato guarisce e torna a casa.
Giuseppe Fiorentino, direttore della Pneumologia del Monaldi, da marzo ha messo al servizio del Cotugno la sua esperienza ed è in trincea a combattere la guerra quotidiana al Covid.
Professore Fiorentino, peggio adesso oppure a marzo scorso?
«Non c’è differenza, la pressione è la stessa come la paura del virus. Certamente noi medici abbiamo una conoscenza più approfondita del “nemico”, ma dal punto di vista dell’affluenza in ospedale non è cambiato nulla».
Le file di auto e di ambulanze davanti all’ospedale sono scene terribili.
«Sicuramente, ma è terribile l’effetto mediatico. E paradossalmente chi guarda in tv questa situazione si fa prendere ancor di più dal panico e si precipita in ospedale. Almeno 20 o anche 30 persone tra quelle che quotidianamente arrivano al pronto soccorso vengono rimandate a casa dopo essere state monitorate e visitate. Ciò significa che non necessitano di ricovero».
Cioè che non hanno il Covid?
«Hanno dispnea e febbre ma sono quadri non ancora bisognevoli di ricovero. Diamo la terapia domiciliare».
Sono tante le persone alle quali viene somministrato l’ossigeno in auto, ciò significa che all’interno non c’è posto?
«Significa intanto che non possiamo visitare tutti contemporaneamente; significa anche che quelle che in tv sembrano file interminabili sono in realtà file normali. Lo spazio davanti al pronto soccorso del Cotugno è stretto, le auto che vedete non sono tantissime. Ma comunque il triage viene fatto a tutti all’esterno e poi si fanno le valutazioni».
Significa che se c’è un codice rosso o comunque una situazione particolarmente grave passa avanti?
«Assolutamente sì. Chi resta in attesa è perchè non ha bisogno immediato di ricovero». Perchè l’ossigeno, allora?
«Tante volte il paziente che si precipita in ospedale ha sintomi lievi, a casa si sente abbandonato e soprattutto solo, ed è in preda al panico. Avverte la sensazione di affanno che è più una condizione mentale che fisica. Se l’assistenza territoriale funzionasse meglio, non avremmo questa affluenza. E ripeto, l’affluenza genera paura che si trasforma in panico».
Nei reparti come siete messi? Non è mai chiaro abbastanza se i posti letto ci sono a sufficienza oppure no.
«I ventotto posti delle tre terapie intensive e i cinquanta delle sub intensive in questo momento sono occupati. Ma abbiamo comunque una o due postazioni in pronto soccorso dove sistemiamo i pazienti in attesa che si liberi un posto. É vero che i ricoveri sono tanti, per fortuna abbiamo anche tanti pazienti che possono andar via. Non soltanto i negativi, ma anche quelli ancora positivi che oggi rispetto a marzo possono essere trasferiti nella residenza Covid dell’ospedale del Mare o nelle cliniche private».
Possiamo parlare di emergenza che resta sotto controllo?
«Per ora sicuramente e ci auguriamo che si continui così. Ci auguriamo che le regole base per contenere i contagi, che sono essenziali, vengano rispettate».
L’età media dei ricoverati in sub intensiva o intensiva?
«Si è alzata, siamo tra i 60 e i 70 anni. Anche se nei giorni scorsi è arrivato un ragazzo del ‘90 e la sua situazione non è tranquilla». L’influenza complica la diagnosi di Covid? «Questo è vero problema delle prossime settimane, i sintomi sono molto simili a parte la mancanza di olfatto e gusto che ci orienta verso la patologia Covid. La terapia iniziale di approccio è comunque la stessa».
Il primario Sono immagini terribili dal punto di vista mediatico e c’è chi guardandole in tv si lascia prendere dal panico e corre in ospedale. Molti non necessitano di ricovero