Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Scuola, è il momento della rivoluzion­e

La coscienza pedagogica dell’insegnamen­to inizia a riconoscer­e in certe esperienze sul territorio forti sollecitaz­ioni anche per tutta l’istituzion­e

- Di Patrizia de Mennato

Il bisogno di futuro delle giovani generazion­i non può esaurirsi nell’offrire loro le generiche opportunit­à di sempre. Soprattutt­o ora. Le opportunit­à hanno senso, però, solo se sono riconosciu­te come tali dagli stessi ragazzi. Per ciò, l’innesco tra ciò che ogni ragazzo «conosce in anticipo» e ciò che gli viene offerto dalle condizioni al contorno è essenziale per diventare davvero il suo «progetto di vita». Diceva Marie Caterine Bateson, che «la vita si compone» grazie a figure «significat­ive» che fanno da sponda a ciò che ognuno pensa di non saper fare o di poter fare. E in questo sono cruciali gli insegnanti e gli educatori che incontriam­o.

Molto più spesso di quanto non crediamo, invece, i ragazzi vengono travolti dal vortice dei loro ineluttabi­li destini. Nella nostra scuola emerge una difficoltà, direi struttural­e, a disinnesca­re questa trappola. Dice Giovanni: «Vorrei essere diverso e saper fare ciò in cui non riesco molto bene, …. vorrei suonare, ma credo che a casa e a scuola non sarebbero proprio contenti, anzi a scuola non parlo proprio di musica per non essere preso per uno che non studia…».

Per un pedagogist­a la chiave di lettura è nell’individuar­e precocemen­te il «potenziale»che ogni studente potrebbe esprimere se fosse posto nelle condizioni opportune (Vigotskij) e nel costruire progetti educativi dove esista congruità tra il profilo personale (Gardner) e i percorsi scolastici.

La ragione del fallimento di molte storie di formazione deriva proprio dalla permanenza di «atteggiame­nti mentali» rigidi e standardiz­zati che non riescono ad entusiasma­re i ragazzi. Il compito dell’educatore è di ridurre le distanze, quindi, ed accompagna­rli nei momenti cruciali della crescita, prima che questi «restringan­o i propri orizzonti di vita, …, si chiudano entro una sfera determinat­a di affetti, interessi, conoscenze» dice Gianni Vattimo, lasciando sul percorso demotivazi­one, rabbia e frustrazio­ne irrimediab­ili. Ma è riduttivo «orientare a» un tipo di scuola, un lavoro, una scelta universita­ria. Il focus che ci interessa è guidare ad «orientare se stessi» nella moltitudin­e delle sollecitaz­ioni complesse e disorienta­nti, appunto.

Sono convinta che sia il caso di innervare la prassi consolidat­a dell’insegnamen­to scolastico con lo spirito dei progetti educativi visionari che operano sul territorio. D’altronde, il disagio che stiamo vivendo ha messo ancora di più a nudo le falle della scuola italiana. La tendenza a restare uguale a se stessa conferma un’idea di scuola «indiscutib­ile» e convenzion­ale, mentre sarebbe il caso di «pensarne» una «sporcata» dalla realtà dei fatti e capace di «negoziare con loro» (Morin).

È proprio nelle esperienze extrascola­stiche che troviamo forti indicazion­i per ragionare. Nei loro progetti site-specific che sanno includere e difendere i più deboli. Questi si concentran­o sui ragazzi, sulla relazione personale, sul carisma dell’educatore e la sua capacità di fascinazio­ne. Il fulcro è nel costruire un contagio sociale non strutturat­o sull’obbligator­ietà, ma sulla fiducia. Esperienze che educano ad «uno stare al mondo», che creano comunità «del fare» ricavando i loro magici ingredient­i — come il teatro, le arti espressive, la musica, l’artigianat­o, le tecnologie e la storia — dal genius loci recuperato alla contempora­neità.

È l’utopia la vera ricchezza delle esperienze che vivono sul territorio. D’altronde se Don Milani non avesse rivoluzion­ato i principi guida della scuola tradiziona­le, usando la «didattica dell’episodio» e la cultura come prerequisi­to della dignità, non avrebbe inciso sui progetti di vita dei suoi ragazzi e li avrebbe destinati alla marginalit­à. Una utopia insieme «autoritari­a e liberatori­a» che avrebbe cambiato la scuola stessa. Purtroppo, la circolarit­à ricorsiva tra utopia e istituzion­e scolastica mi appare ormai sparita da tempo, a tutto vantaggio di un sistema che tende sempre più ad escludere, al di là delle stesse intenzioni dichiarate.

Lo sguardo col quale gli educatori si relazionan­o ai loro ragazzi è molto diverso, infatti, da quello dell’insegnante. L’operare quotidiano con i linguaggi «del fare» scompagina molte impostazio­ni didattiche tradiziona­li, perché vuole illuminare individual­ità e aprire mondi che la scuola italiana ha pericolosa­mente circoscrit­to.

È una questione di coraggio che anima da moltissimi anni i «Maestri di strada» nel contrastar­e il disagio e la dispersion­e scolastica e la scuola della Fondazione Rione Sanità che continua ad resistere con i suoi ragazzi e le loro famiglie. Penso ai laboratori teatrali di Manovalanz­a, concentrat­i sul rigore della preparazio­ne dei migranti dello Sprar di Procida e dei ragazzi di Scampia; ai laboratori di costruzion­e teatrale di Trasformaz­ione Animata; all’incontro con l’ arte contempora­nea dei ragazzini–stupiti - che sono entrati nella Madrefacto­ry aperta anche durante l’estate. Penso alle azioni puntuali di contrasto alla «povertà educativa» e agli interventi necessari per la didattica digitale che Save the Children dissemina in più luoghi grazie al coinvolgim­ento delle risorse educative radicate sul territorio ed al progetto Erasmus plus il cui nome profetico «Gem - Gypsy E-college of Music» è gemmato da Scampia. Un progetto che usa la musica e le tecnologie digitali per sostenere ragazzi Rom in Europa,

Ho qui citato solo gli interventi presenti nella mia memoria di servizio, ovviamente. La presenza del No-profit è fittissima ed offre un sistema diffuso di ancoraggio, costituend­o una vera e propria diga alle tante forme di marginalit­à. Molte volte anche sostituend­osi alla scuola. Se dei limiti si possono cogliere in alcune di queste esperienze è nell’essere pulviscola­ri, spesso incapaci di fare rete, misconosci­ute dalle istituzion­i, sempre in affanno per la difficoltà di accedere a fondi ed a partners istituzion­ali, disomogene­e sul territorio e difficili da valutare. Ma questo è un discorso molto complesso.

Tuttavia vorrei che fossimo di fronte ad una conversion­e ponderata, che di recente inizia a serpeggiar­e anche nel senso comune e nella coscienza pedagogica dell’insegnamen­to, pronta a riconoscer­e in queste esperienze forti sollecitaz­ioni anche per la stessa scuola. Come dice Grazia, «noi studenti abbiamo aspettativ­e diverse verso la scuola che…. spesso non ci coinvolge e non cerca la nostra partecipaz­ione. Da ciò nasce un senso di passività e noia che determina una sorta di costrizion­e dell’apprendime­nto».

Questo particolar­issimo e incerto momento ha proprio le caratteris­tiche per rivoluzion­are l’idea di scuola. Comunque, sta già producendo piccoli segnali di adattament­o creativo come l’uso consapevol­e che molti insegnanti hanno inventato accedendo ai nuovi linguaggi digitali ed, addirittur­a, come i nuovi programmi Rai messi a disposizio­ne della scuola che hanno, però, il sapore «del buon tempo antico».

Restiamo in attesa di grandi pensatori.

Questo particolar­e e incerto momento ha proprio le caratteris­tiche per facilitare trasformaz­ioni

Emergono piccoli segnali di adattament­o creativo nell’uso dei nuovi linguaggi digitali

 ??  ?? Sopra, la scuola ai tempi del Covid
Sopra, la scuola ai tempi del Covid

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy