Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le «Dolcissime radici» di una voce senza confini
Che ci fa una canzone di Libero Bovio (Passione), tanto più in un delicato arrangiamento che profuma di bossa nova, subito dopo una villanella del Seicento di Andrea Falconieri (O vezzosetta dalla chioma d’oro) e prima del Lamento di Apollo da un’opera di Cavalli, la Dafne? Si potrebbe pensare a un azzardo, ma Giovanna Carone, la titolare dell’album Dolcissime radici edito da Digressione Music, sa bene quello che vuole. Mezzosoprano formatosi sulla musica rinascimentale e barocca, la cantante barese ha voluto abbandonare la voce impostata ma non l’approccio cameristico per cimentarsi negli scorsi anni con la musica e la lingua yiddish (in duo con il pianoforte jazz di Mirko Signorile) o per rileggere le Città invisibili di Calvino. Qui la sua ambizione è disegnare un percorso molto libero attraverso la canzone e la lingua italiana dal Trecento ai giorni nostri, mettendo insieme le sue «radici», sentimentali e musicali. La aiuta nell’impresa un mutevole gruppo di musicisti di diversa estrazione, alle prese con corde, tastiere e percussioni; gli arrangiamenti, a cura di Leo Gadaleta, mischiano le carte tra barocco e moderno ma tengono la rotta creando un suono e un mood decisamente omogenei. Nella trama c’è spazio per il sassofono di Roberto Ottaviano (magnifico nella ballata trecentesca di Francesco Landini Giovine
Vagha) e per il clavicembalo di Guido Morini, che disegna una modernissima
Fantasia a mo’ d’introduzione all’aria di Frescobaldi Se l’aura spira. Ci sono Tenco
(Un giorno dopo l’altro) e Mina (Un anno d’amore), Zucchero e Max Gazzè, e
perfino Un paese vuol dire non essere
soli, l’omaggio a Pavese dei Cantacronache nel lontano 1960.