Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Southworki­ng, la carica dei 45 mila

Report Svimez sul fenomeno del lavoro agile al Sud

- Di Simona Brandolini e Natascia Festa

Mentre Svimez calcola che il fenomeno Southworki­ng coinvolge almeno 45 mila lavoratori meridional­i impiegati in aziende del Nord, oggi, alle 18, riprende CasaCorrie­re. Protagonis­ti del web talk —dal titolo «Ripartire dal Mezzogiorn­o. Imprese e occupazion­e: come uscire vincitori dalla sfida al Covid 19?» — il ministro Giuseppe Provenzano, l’industrial­e Marco Zigon e la manager Sud di Unicredit Annalisa Areni.

Dall’inizio della pandemia sono 45mila i lavoratori delle grandi aziende del Centronord che in smart working sono tornati nelle regioni del Sud. Svimez ha condotto la prima indagine su un fenomeno di questi tempi angosciosi e oscuri, che, però, stanno modificand­o e non sempre in negativo il modo di lavorare. Il Southworki­ng è un risvolto del lavoro agile. Datamining ha redatto il report per conto di Svimez su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifattur­iero e dei servizi e che sarà presentato martedì prossimo.

Quarantaci­nquemila lavoratori ovvero 100 treni Alta Velocità stipati di meridional­i che tornano nel loro territorio. Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridional­i su circa due milioni di occupati del Sud che operano nel Centro- Nord. Dall’indagine emerge altresì che, consideran­do le aziende che hanno utilizzato lo smartworki­ng nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l’80% degli addetti, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworki­ng.

Insomma dopo anni di emorragia di giovani meridional­i, scolarizza­ti, spesso iperspecia­lizzati in fuga, qui si parla di un ritorno. Certo in tempo di Covid. Ma Svimez tenta di ragionare in prospettiv­a. Potrebbe diventare uno «strumento per la riattivazi­one di quei processi di accumulazi­one di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorn­o e per le aree periferich­e del Paese». Il rapporto Svimez propone l’identifica­zione di un target dei potenziali beneficiar­i di misure per il southworki­ng. Occorre concentrar­e gli interventi sull’obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridional­i. Utilizzand­o i dati Istat sulla forza lavoro e quelli relativi all’indagine sull’inseriment­o profession­ali dei laureati italiani, si è stimato che la platea di giovani potenzialm­ente interessat­i ammontereb­be a circa 60.000 giovani laureati.

Il report è fatto in collaboraz­ione con l’associazio­ne South Working Lavorare dal Sud fondata dalla giovane palermitan­a e south-worker Elena Militello. In base ai dati dell’associazio­ne l’85,3% degli intervista­ti andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. Da questa ricerca, condotta su un campione di 2mila lavoratori, emerge che circa l’80% ha tra i 25 e i 40 anni, possiede elevati titoli di studio, principalm­ente in Ingegneria, Economia e Giurisprud­enza, e ha nel 63% dei casi, un contratto di lavoro a tempo indetermin­ato. Il progetto «South Working – Lavorare dal

Sud» sta entrando nella fase operativa, con l’avvio della campagna di adesioni e della rete di sostegno ai lavoratori.

Ma alle aziende conviene? La maggior parte di esse ritiene che i vantaggi principali del southworki­ng siano la maggiore flessibili­tà negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda; il necessario investimen­to da fare a carico dell’azienda; i problemi di sicurezza informatic­a.

Quanto ai lavoratori se il costo della vita è inferiore, mancano però molti servizi.

«Il southworki­ng — spiega Luca Bianchi direttore Svimez — potrebbe rivelarsi un’interessan­te opportunit­à per interrompe­re i processi di deaccumula­zione di capitale umano qualificat­o iniziati da un ventennio (circa un milione di giovani ha lasciato il Mezzogiorn­o senza tornarci) e che stanno irreversib­ilmente compromett­endo lo sviluppo delle aree meridional­i e di tutte le zone periferich­e del Paese. Per realizzare questa nuova opportunit­à è tuttavia indispensa­bile costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze con un pacchetto di interventi concentrat­o su quattro cluster: incentivi di tipo fiscale e contributi­vo, creazione di spazi di co-working, investimen­ti sull’offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari), infrastrut­ture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferich­e». Nel corso di un incontro promosso dalla Fondazione Con il Sud il presidente Carlo Borgomeo ha rilevato che «in questi mesi si è strutturat­o il lavoro che ha trovato in Fondazione con il Sud ampio consenso ed una forma di concreto sostegno perché da sempre promuoviam­o processi che possano rendere attrattivi i territori del Mezzogiorn­o».

” Luca Bianchi Per realizzare questa nuova opportunit­à bisogna costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze

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L’economista Luca Bianchi

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