Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Southworking, la carica dei 45 mila
Report Svimez sul fenomeno del lavoro agile al Sud
Mentre Svimez calcola che il fenomeno Southworking coinvolge almeno 45 mila lavoratori meridionali impiegati in aziende del Nord, oggi, alle 18, riprende CasaCorriere. Protagonisti del web talk —dal titolo «Ripartire dal Mezzogiorno. Imprese e occupazione: come uscire vincitori dalla sfida al Covid 19?» — il ministro Giuseppe Provenzano, l’industriale Marco Zigon e la manager Sud di Unicredit Annalisa Areni.
Dall’inizio della pandemia sono 45mila i lavoratori delle grandi aziende del Centronord che in smart working sono tornati nelle regioni del Sud. Svimez ha condotto la prima indagine su un fenomeno di questi tempi angosciosi e oscuri, che, però, stanno modificando e non sempre in negativo il modo di lavorare. Il Southworking è un risvolto del lavoro agile. Datamining ha redatto il report per conto di Svimez su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi e che sarà presentato martedì prossimo.
Quarantacinquemila lavoratori ovvero 100 treni Alta Velocità stipati di meridionali che tornano nel loro territorio. Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg. Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali su circa due milioni di occupati del Sud che operano nel Centro- Nord. Dall’indagine emerge altresì che, considerando le aziende che hanno utilizzato lo smartworking nei primi tre trimestri del 2020, o totalmente o comunque per oltre l’80% degli addetti, circa il 3% ha visto i propri dipendenti lavorare in southworking.
Insomma dopo anni di emorragia di giovani meridionali, scolarizzati, spesso iperspecializzati in fuga, qui si parla di un ritorno. Certo in tempo di Covid. Ma Svimez tenta di ragionare in prospettiva. Potrebbe diventare uno «strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese». Il rapporto Svimez propone l’identificazione di un target dei potenziali beneficiari di misure per il southworking. Occorre concentrare gli interventi sull’obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali. Utilizzando i dati Istat sulla forza lavoro e quelli relativi all’indagine sull’inserimento professionali dei laureati italiani, si è stimato che la platea di giovani potenzialmente interessati ammonterebbe a circa 60.000 giovani laureati.
Il report è fatto in collaborazione con l’associazione South Working Lavorare dal Sud fondata dalla giovane palermitana e south-worker Elena Militello. In base ai dati dell’associazione l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito, e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto. Da questa ricerca, condotta su un campione di 2mila lavoratori, emerge che circa l’80% ha tra i 25 e i 40 anni, possiede elevati titoli di studio, principalmente in Ingegneria, Economia e Giurisprudenza, e ha nel 63% dei casi, un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il progetto «South Working – Lavorare dal
Sud» sta entrando nella fase operativa, con l’avvio della campagna di adesioni e della rete di sostegno ai lavoratori.
Ma alle aziende conviene? La maggior parte di esse ritiene che i vantaggi principali del southworking siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda; il necessario investimento da fare a carico dell’azienda; i problemi di sicurezza informatica.
Quanto ai lavoratori se il costo della vita è inferiore, mancano però molti servizi.
«Il southworking — spiega Luca Bianchi direttore Svimez — potrebbe rivelarsi un’interessante opportunità per interrompere i processi di deaccumulazione di capitale umano qualificato iniziati da un ventennio (circa un milione di giovani ha lasciato il Mezzogiorno senza tornarci) e che stanno irreversibilmente compromettendo lo sviluppo delle aree meridionali e di tutte le zone periferiche del Paese. Per realizzare questa nuova opportunità è tuttavia indispensabile costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze con un pacchetto di interventi concentrato su quattro cluster: incentivi di tipo fiscale e contributivo, creazione di spazi di co-working, investimenti sull’offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari), infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferiche». Nel corso di un incontro promosso dalla Fondazione Con il Sud il presidente Carlo Borgomeo ha rilevato che «in questi mesi si è strutturato il lavoro che ha trovato in Fondazione con il Sud ampio consenso ed una forma di concreto sostegno perché da sempre promuoviamo processi che possano rendere attrattivi i territori del Mezzogiorno».
” Luca Bianchi Per realizzare questa nuova opportunità bisogna costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze