Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Dal giallo al rosso senza ritorno

- di Fortunato Cerlino

«Oh! Ma che fai? È giallo!». «Embè?». «Non potevi passare, ti dovevi ferma’ ‘o semaforo».

«Ma che dici? Co’ giallo se passa ancora».

«Ma che dici tu? Giallo significa che devi rallentare e fermarti». «Overamente?». “Certo. So’ è regole».

«E da quando?».

«Da quando esiste ‘a patente».

«Bello! Io me ne fotto de’ regole… e po’ giallo vo’ dicere che è ancora quasi verde».

«A casa mia ‘o giallo vo’ dicere che è quasi rosso, che ti devi fermare».

«Uà frà, stai proprio a piezze, crideme!».

«Che vulisse dicere?». «Che stai scassanne ‘o cazzo! ‘E regole so’ galera, te lo sei scurdate? So’ fatt pe’ chi se fa cumannà. Noi siamo libberi!».

Il ragazzino al volante alza il volume della radio.

«È bello stu piezzo, o no?». «Nun me piace».

«O vì che tengo raggione? Fino a stammatina te faceva uscì pazzo sta canzone!».

Comincia a cantare a squarciago­la. «Sedici anni mi ritrovo come un boss/ Nella mia zona oggi è tutto appost/Ti ricordi quando sognavamo i mostri?/Vesto nero e sono pronto per l’inferno/ Ma lo sai da dove vengo/ Vengo cresciuto nel buio dell’inferno».

Comincia a prendere a pugni il volante che tiene con una sola mano. Si accende una sigaretta e aspira il fumo voluttuosa­mente, poi guarda con aria di scherno il suo amico sul sedile accanto. «Ma stai a down?».

«Nun te sento».

Quello al volante abbassa il volume.

«Stai ‘a rota?».

«No, no, sto appost». «Nun me pare. Tieni ‘a faccia janca».

L’amico abbassa lo sguardo, poi con i suoi occhi profondi osserva malinconic­amente il lungomare che scorre al lato della carreggiat­a. Nonostante i divieti, una fiumana di persone percorre il marciapied­e prestando scarsa attenzione alle regole consigliat­e dalle autorità sanitarie. Mascherine abbassate sotto il mento, distanze di sicurezza evase, sorrisi e pacche sulle spalle. I tavolini dei bar strapieni, file interminab­ili per ordinare un caffè da asporto che viene poi consumato velocement­e al banco. Un clima di apparente soddisfazi­one domina quella gente che si scambia occhiate furbe, complici. Tutti ammutinati, rivoluzion­ari che credono così di ribellarsi ad un nuovo padrone. Tutti Masaniello insofferen­ti alla nuova gabella imposta da un governo estraneo, simbolo di una antica oppression­e che resiste nell’inconscio frustrato di un popolo in larga parte non ancora emancipato. Come un branco in pericolo, conosce solo due regole di sopravvive­nza alla paura; fuga o attacco. «Forse sto solo crescendo». «E che vulisse dicere?». Nessuna risposta.

«Oh! Ma sei pure surdo mo? Che vulive dicere cu chelli parole?».

«Niente».

«No, no, tu vulive dicere che io so’ ancora creaturo, è overo?».

Di nuovo nessuna risposta. Quello al volante pompa ancora il volume della radio. «Vengo tra i migliori/ Senza fare i milioni/ Senza avere un qualcuno che ti giudica/ Ciò che voglio me lo prendo/ Dentro me scorre sangue freddo».

«A mascherina addó a tieni?», urla l’amico. «Ma famme capi’, t’aggio fatto qualcosa?». «Addó a tieni ‘a mascherina?».

«Oh! Sta appesa sotto ‘o specchiett­o, non la vedi?».

«Chella sta appesa là a na semmana».

“Embè? L’aggio fatta addiventà n’arbre maggic, probblemi? Fragranza Covìd, l’aggio inventata io, te piace?».

«Ferma ‘a machina, voglio scennere».

«Che cosa?».

«Ferma ‘a machina», urla più forte l’amico.

«Vabbuó ja, stai abbruciato cu ‘e cervelle, aggio capito».

«Sto buono, voglio cammenà a piedi».

«E mo nun me posso ferma’ sennò perdo ‘o semaforo».

Quello al volante accelera. L’automobile schizza via facendo stridere gli pneumatici sull’asfalto. Il semaforo diventa giallo, il ragazzino accelera ancora di più. Quando la luce diventa rossa manca ancora qualche metro all’incrocio, ma il ragazzino non si ferma. Un boato improvviso, lo scoppio degli airbag, il suono sinistro delle lamiere che si accartocci­ano, il lunotto posteriore che va in mille pezzi, il sangue che schizza sul parabrezza anteriore. Quando il ragazzino al volante riprende i sensi si ritrova a testa in giù ancora nell’abitacolo della sua automobile. Accanto a lui il suo amico non dà segni di vita. Un taglio profondo sulla testa, il volto insanguina­to lo rende irriconosc­ibile. Lo stereo è ancora acceso. «Dio mi hanno detto che tu non esisti/ Ma io ho cercato fino in fondo/e tu dimmelo che ti sei dimenticat­o/ Mi volevi criminale e ci sei riuscito/ Dio sento freddo sulla pelle/Grido il nome tuo nella mente/E io ti ho lasciato sì per sempre/Fuego, incendio tutta questa gente/Sangue nero negli abissi di un lago/ E mi perdo perché i buoni si perdono/ Indietro, non si può tornare indietro/ Ma lo sai, lo sai da dove vengo/ Ma lo sai da dove vengo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy