Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Vincente è ogni fallito» Di Gennaro racconta Cioran
Il libro di uno dei massimi esperti dello scrittore rumeno
L’idea secondo la quale non si debba escludere il suicidio dalle possibili vie d’uscita e che, anzi, è quella una strada da tenere ben presente – perché la coscienza della sua realizzabilità, in ogni momento ed epoca della nostra vita, proprio la vita ci può salvare – è il dato d’attrazione che mi spinse ad acquistare e leggere un libro di Emil Cioran dal titolo inquietante, Al culmine della disperazione. E poi ne acquistai un altro, e un altro.
C’è un’altra meravigliosa riflessione, tra le tante, del filosofo romeno: l’esaltazione, o valutazione positiva, del fallimento. È interessante riflettere sul sentimento del fallimento; questa malsana idea della piena realizzazione di sé stessi, inculcata fin dall’infanzia dal nostro entourage familiare, nonché da maestri e professori – che magari hanno pianto addosso alle nostre anime, ancora fresche e proiettate verso un ipotetico entusiasmante avvenire, i loro fallimenti – e insomma da un’impostazione competitiva dell’esistenza, quanto male ci ha fatto? In musica, poi, non ne parliamo nemmeno: l’idea del perseguimento del successo è un tetro leit-motiv che ha falcidiato più innocenti interiorità di quante vittime abbiano causato le ideologie totalitarie. Vincente è, invece, il fallito.
Alla fine, gli indaffarati, gli uomini sotto i riflettori, i vincenti, sono proprio coloro ai quali è stata negata la possibilità di guardare nel profondo dei propri abissi e, da questi, trarne un’esistenza autentica e ricca.
E poi Cioran ama Bach, lo ama più di Shakespeare, più della filosofia – semmai abbia mai amato la filosofia – lo ama più di ogni altro artista mai concepito dalla Madre Terra. Ne parla molte volte, ora nei Quaderni, ora in altri libri. Ma ne parla – e questo è il bello – senza che un milligrammo di saccenteria trasudi dalle sue parole. Non vi è ombra di tentativi di analisi, nei quali tentativi altri intellettuali si sono imprudentemente avventurati. Non v’è la minima intenzione di illustrare con auliche parole la maestria del Cantor. (Finalmente!) Cioran ama Bach; ama la musica classica, da Mozart a Beethoven a Schubert a Brahms; ama la musica zigana; ma soprattutto ama Bach e ne parla come chiunque parli di ciò ritiene sacro: facciamo la radiografia a ciò che consideriamo sacro? “spieghiamo” il perché e il per come amiamo ciò che amiamo? non credo. E quando Cioran ascolta Luciano Berio alla radio non si addentra, non cerca annessi e connessi; scrive solamente, con preoccupato ma comunque rispettoso sconcerto: «Ascoltati alla radio brani di Stockhausen, Xenakis, Berio poi, girando la manopola, mi sono imbattuto in un minuetto! Che drammatico passo avanti - ma verso che cosa? ha fatto la musica!».
Sono mille e mille gli insegnamenti che si possono ricavare dalla lettura dei libri di Cioran e dalla conoscenza
della sua difficile esistenza (un uomo che vive nell’indigenza e che rifiuta onorificenze e premi in danaro per mantenere integra l’immagine che ha di sé stesso, cioè la propria libertà di pensiero; un uomo che si porta dentro il fardello della giovanile esaltazione per il nascente nazismo, riconosciuto poi come pestilenza – il che fa riflettere su quanto sia difficile sottrarsi alle follie collettive e quante cicatrici queste lascino, indelebili, in chi vi sprofonda).
Antonio Di Gennaro, filosofo, poeta, è uno dei massimi esperti dell’opera e del pensiero di Emil Cioran. È napoletano (l’ho sempre detto che Napoli è una città magica: mi appassiono a Cioran e faccio amicizia con uno dei massimi esperti…) e sta ottenendo, in questi giorni, importantissimi riconoscimenti nazionali e internazionali per la sua ultima opera: Emil Cioran, Ultimatum all’esistenza, Conversazioni e interviste (19491994), edito da La scuola di Pitagora. Si tratta di un lavoro imponente che raccoglie più di trenta inedite interviste di studiosi e giornalisti allo scrittore romeno, organizzate magistralmente da Di Gennaro. Conversazioni straordinarie, avviluppate in un sentimento di intimo raccoglimento, di sincerità.
Leggerle è trovarsi vicino a Cioran mentre ci trascina nell’abisso della sua umanità, tanto più commovente umanità quanto più lucido e implacabile scorre il pensiero del grande scrittore. Un universo di letture raccontate con semplicità, da Spengler a Heidegger, da Michaux a Beckett, da Baudelaire a Nietzsche; i suoi luoghi d’origine e d’adozione: la Romania, la Spagna e naturalmente Parigi, la città nella quale ha trovato rifugio dal 1937 al 1995, anno della sua morte. Impossibile riassumere. Solo una citazione, che è l’omaggio alla vita da parte di un grande teorico del suicidio: La malattia è una prova. È la malattia che costringe a riflettere. Non c’è poeta o filosofo che non abbia sofferto fisicamente.
No al successo
Gli indaffarati, sotto i riflettori, sono quelli che non guardano nel profondo dei loro abissi