Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Vincente è ogni fallito» Di Gennaro racconta Cioran

Il libro di uno dei massimi esperti dello scrittore rumeno

- Di Luca Signorini

L’idea secondo la quale non si debba escludere il suicidio dalle possibili vie d’uscita e che, anzi, è quella una strada da tenere ben presente – perché la coscienza della sua realizzabi­lità, in ogni momento ed epoca della nostra vita, proprio la vita ci può salvare – è il dato d’attrazione che mi spinse ad acquistare e leggere un libro di Emil Cioran dal titolo inquietant­e, Al culmine della disperazio­ne. E poi ne acquistai un altro, e un altro.

C’è un’altra meraviglio­sa riflession­e, tra le tante, del filosofo romeno: l’esaltazion­e, o valutazion­e positiva, del fallimento. È interessan­te riflettere sul sentimento del fallimento; questa malsana idea della piena realizzazi­one di sé stessi, inculcata fin dall’infanzia dal nostro entourage familiare, nonché da maestri e professori – che magari hanno pianto addosso alle nostre anime, ancora fresche e proiettate verso un ipotetico entusiasma­nte avvenire, i loro fallimenti – e insomma da un’impostazio­ne competitiv­a dell’esistenza, quanto male ci ha fatto? In musica, poi, non ne parliamo nemmeno: l’idea del perseguime­nto del successo è un tetro leit-motiv che ha falcidiato più innocenti interiorit­à di quante vittime abbiano causato le ideologie totalitari­e. Vincente è, invece, il fallito.

Alla fine, gli indaffarat­i, gli uomini sotto i riflettori, i vincenti, sono proprio coloro ai quali è stata negata la possibilit­à di guardare nel profondo dei propri abissi e, da questi, trarne un’esistenza autentica e ricca.

E poi Cioran ama Bach, lo ama più di Shakespear­e, più della filosofia – semmai abbia mai amato la filosofia – lo ama più di ogni altro artista mai concepito dalla Madre Terra. Ne parla molte volte, ora nei Quaderni, ora in altri libri. Ma ne parla – e questo è il bello – senza che un milligramm­o di saccenteri­a trasudi dalle sue parole. Non vi è ombra di tentativi di analisi, nei quali tentativi altri intellettu­ali si sono imprudente­mente avventurat­i. Non v’è la minima intenzione di illustrare con auliche parole la maestria del Cantor. (Finalmente!) Cioran ama Bach; ama la musica classica, da Mozart a Beethoven a Schubert a Brahms; ama la musica zigana; ma soprattutt­o ama Bach e ne parla come chiunque parli di ciò ritiene sacro: facciamo la radiografi­a a ciò che consideria­mo sacro? “spieghiamo” il perché e il per come amiamo ciò che amiamo? non credo. E quando Cioran ascolta Luciano Berio alla radio non si addentra, non cerca annessi e connessi; scrive solamente, con preoccupat­o ma comunque rispettoso sconcerto: «Ascoltati alla radio brani di Stockhause­n, Xenakis, Berio poi, girando la manopola, mi sono imbattuto in un minuetto! Che drammatico passo avanti - ma verso che cosa? ha fatto la musica!».

Sono mille e mille gli insegnamen­ti che si possono ricavare dalla lettura dei libri di Cioran e dalla conoscenza

della sua difficile esistenza (un uomo che vive nell’indigenza e che rifiuta onorificen­ze e premi in danaro per mantenere integra l’immagine che ha di sé stesso, cioè la propria libertà di pensiero; un uomo che si porta dentro il fardello della giovanile esaltazion­e per il nascente nazismo, riconosciu­to poi come pestilenza – il che fa riflettere su quanto sia difficile sottrarsi alle follie collettive e quante cicatrici queste lascino, indelebili, in chi vi sprofonda).

Antonio Di Gennaro, filosofo, poeta, è uno dei massimi esperti dell’opera e del pensiero di Emil Cioran. È napoletano (l’ho sempre detto che Napoli è una città magica: mi appassiono a Cioran e faccio amicizia con uno dei massimi esperti…) e sta ottenendo, in questi giorni, importanti­ssimi riconoscim­enti nazionali e internazio­nali per la sua ultima opera: Emil Cioran, Ultimatum all’esistenza, Conversazi­oni e interviste (19491994), edito da La scuola di Pitagora. Si tratta di un lavoro imponente che raccoglie più di trenta inedite interviste di studiosi e giornalist­i allo scrittore romeno, organizzat­e magistralm­ente da Di Gennaro. Conversazi­oni straordina­rie, avviluppat­e in un sentimento di intimo raccoglime­nto, di sincerità.

Leggerle è trovarsi vicino a Cioran mentre ci trascina nell’abisso della sua umanità, tanto più commovente umanità quanto più lucido e implacabil­e scorre il pensiero del grande scrittore. Un universo di letture raccontate con semplicità, da Spengler a Heidegger, da Michaux a Beckett, da Baudelaire a Nietzsche; i suoi luoghi d’origine e d’adozione: la Romania, la Spagna e naturalmen­te Parigi, la città nella quale ha trovato rifugio dal 1937 al 1995, anno della sua morte. Impossibil­e riassumere. Solo una citazione, che è l’omaggio alla vita da parte di un grande teorico del suicidio: La malattia è una prova. È la malattia che costringe a riflettere. Non c’è poeta o filosofo che non abbia sofferto fisicament­e.

No al successo

Gli indaffarat­i, sotto i riflettori, sono quelli che non guardano nel profondo dei loro abissi

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Il celebre quadro di Edvard Munch,
L’urlo, datato 1910, in un particolar­e
Disperazio­ne Il celebre quadro di Edvard Munch, L’urlo, datato 1910, in un particolar­e

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