Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Terrone» non è un’offesa, assolto Feltri
Chiamiamola da oggi in poi Cava de’ Terroni visto che da qui parte la riabilitazione di un aggettivo che fino ad ora ha sempre avuto un’accezione negativa. C’è un giudice (a Cava de’ Tirreni), che ha assolto il direttore editoriale di Libero, Vittorio Feltri, dall’accusa di diffamazione per aver usato in un articolo la parola «terroni» per definire il popolo meridionale.
Il giornalista era stato denunciato da un cittadino campano che si era sentito offeso e che ora non solo si è vista respinta la richiesta di risarcimento danni ma è stato condannato a pagare tutte le spese.
Per il dottor Mazzarella, che è giudice di pace, il fatto non sussiste in quanto il termine «terroni» non identifica nessun gruppo di persone e quindi non può avere una configurazione negativa. «Il reato - è spiegato nella sentenza - si configura solo quando è riferito a un’etnia o gruppo religioso». Questo caso, quindi, rientra nell’alveo del «diritto soggettivo di critica», come dire che Kamala Harris è «la vice mulatta» del neopresidente degli Stati Uniti Joe Biden, tanto per restare dalle parti del quotidiano milanese.
L’altra faccia della medaglia riguarda ovviamente il termine polentone che di colpo perde, grazie a queste motivazioni, la parallela accezione negativa che fino ad oggi gli veniva dato da noi ufficialmente terroni e felici di esserlo: chiamasi polentone, infatti, una persona lenta e dai movimenti goffi e impacciati. Tutt’altro che sveglia, intraprendente e cazzimosa come noi. Ai colleghi di Libero non è parso vero che proprio dal Sud arrivasse una reazione che non fosse di sdegno e riprovazione per un modo di fare opinione, aspro e spesso politicamente scorretto: «La polemica giornalistica - hanno commentato - non è un testo per educande e neppure una lettura da fare in chiesa. È lecito usare toni pungenti e incisivi e formule verbali che non sono normalmente adoperate nei rapporti interpersonali».
Vittorio Feltri quindi se l’è scappottata. Ma stavolta. C’è qualcuno che il termine Terrone lo esibisce con legittimo orgoglio sulla carta d’identità oltre che nel dna e non ha nessuna intenzione di fargliela passare liscia. A prescindere da una pronuncia a lui favorevole che lo ha mandato assolto.
L’ingegnere salernitano Francesco Terrone, presidente del Mespi (Movimento economico social popolare intereuropeo), non solo ha una querela in corso contro il direttore di Libero
per un editoriale a sua firma in cui definiva il governo Conte «come uno zoo di terroni» (al centro anche di una denuncia al Consiglio di disciplina dell’Ordine della Lombardia dei giornalisti Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi) ma ha anche promosso un’azione civile contro l’Accademia della Crusca perché non si decide una volta per tutte a «riabilitare» il termine, che non è da considerare come condizione di inferiorità sociale ed economica, portando come prova le origini della sua famiglia, che risalgono al 1400, e che annovera feudatari, intellettuali, nobili e sacerdoti.
Insomma, il secondo round è tutto da giocare. Nell’attesa però suggeriamo di ampliare l’orizzonte e visto che la vicenda giudiziaria ha avuto il suo epicentro ed epilogo in quel di Cava ci piacerebbe che lo stesso giudice Mazzarella ci risolvesse una vexata quaestio che si trascina da secoli. Ma se io do del cavaiuolo a un abitante di Cava lo offendo? E se lui mi dice che io, salernitano, sono un pisciaiuolo, posso querelarlo? Ah, saperlo saperlo...