Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La camorra come destino ineluttabile
Le dinamiche interne ai clan nel saggio di Starace edito da Donzelli
Come si spiega che nelle storie di camorra tutto è noto a tutti e, nonostante ciò, tutto accade?
È il rovello che attanaglia da tempo Giovanni Starace, psicologo con uno spiccato interesse per le dinamiche interne ai clan napoletani, convinto che ci sia ancora molto da capire a proposito della teatralità criminale e del ricorso, da parte di boss e gregari, a vere e proprie tecniche di recitazione o a consolidate pratiche liturgiche. Si pensi solo al linguaggio delle famiglie e delle paranze, spesso allusivo e simbolico anche al di là della necessità. C’è una storia in particolare che ha colpito Starace, tant’è che la riporta anche nel suo ultimo libro, Testimoni di violenza. La camorra e il degrado sociale nel racconto
di dieci detenuti (Donzelli). È quella di Eduardo Bove, luogotenente dei Mazzarella a Forcella, il quale si condanna a morte quando decide di mettersi in proprio. Bove sapeva che avrebbero tentato di ucciderlo e conosceva i suoi killer. Eppure, nel giorno fatale li fa entrare in casa, prepara per loro dei saltimbocca, e li invita a sedersi a tavola, dove restano fino a quando non mettono mano alle pistole. Bove sapeva e quel che sapeva accade. È una dinamica che ritorna in molte cronache di «nera», storie di amici affiliati a clan rivali che inevitabilmente diventano uno vittima dell’altro; di fidanzate affidate a chi dice di volerle solo intimidire, ma di cui sono ben note le intenzioni assassine; o di informatori che consegnano a esecutori di ordini estremi conoscenti di cui fingono a se stessi di ignorare il destino. Tutte vicende da cui emerge una sorta di ineluttabilità della vita. Non solo la morte precoce o la carcerazione sono date per scontate, ma anche il tradimento, la vendetta, la sofferenza e la guerra di tutti contro tutti, in un viluppo intricato di cinismo e di negazione autoassolutoria del reale.
Perché è così che vanno le cose? Perché è così difficile sottrarsi a tanta tragica e ambigua ritualità? Starace è convinto che la risposta non può venire solo dalle inchieste giornalistiche, dalle carte processuali o dagli studi sociologici, perché con queste lenti, per quanto potenti, si rischia di non leggere le motivazioni più intime e più nascoste che spesso muovono gli uomini e le donne della camorra. Ecco, allora, che non potendo mettere la stessa camorra sul lettino, Starace prova a verificare la fondatezza delle sue interpretazioni offrendole alla valutazione di interlocutori molto speciali, a detenuti vicini a quel «mondo a parte», ma non condizionati da pentimenti giudiziari o strategie mediatiche. Storace entra nel confronto facendo riferimento a categorie analitiche tipiche della psicologia, pensa al narcisismo dei boss, all’incertezza identitaria e esistenziale degli affiliati, all’onnipotenza dei killer. Ma deve prendere atto che forse la risposta è anche altrove. Spesso, gli dicono i suoi interlocutori, in quel mondo a parte che è la camorra manca semplicemente «il tempo per pensare». Proprio così. E manca perché si è schiacciati dal bisogno e deboli socialmente, perché ci sono ruoli da interpretare e sceneggiature a cui attenersi, perché nei clan la storia si ripete sempre uguale di generazione in generazione. Tutto questo genera quindi il «vuoto interiore» e il «restringimento mentale» che può portare ad accettare il destino cieco che altri hanno disegnato per te. Storace in parte si distingue, rifiutando un eccessivo contestualismo, in parte accoglie. Ma sa bene che per quanto si provi a semplificarla, la realtà è sempre più complessa di quanto si creda, perché la camorra può muoversi agevolmente sia in una dimensione folkloristica e locale, sia in un mondo globalizzato nel quale può superare in efficienza il capitalismo legittimo. Il libro, tuttavia, risente molto di una tradizione culturale che dà grande valore alla testimonianza dei singoli rispetto all’analisi dall’esterno, per così dire, dei grandi processi storici. E non sempre il particolare vince sul generale.