Corriere del Mezzogiorno (Campania)

RICOSTRUIR­E È LA PRIMA NECESSITÀ

- Di Procolo Mirabella

La luce in fondo al tunnel. Chissà, dev’essere successo così anche alle generazion­i dei nostri padri e nonni ai quali capitò di vivere gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. L’esito finale di quella tragedia che sconvolse il nostro Paese l’Europa e il Mondo. Così dev’essere quando s’intravvede la fine di una guerra, di un cataclisma, di un incubo,che però non è ancora finito. Come oggi, per noi, con la Pandemia planetaria. Lo spiraglio, oltre il tempo immobile del secondo lockdown, che ci ha paralizzat­i nel pieno di questa nuova ondata pandemica, ben più travolgent­e e - in particolar­e qui da noi - più insidiosa, diffusa e pericolosa della prima. Quello spiraglio cominciamo a intraveder­lo, la luce in fondo al tunnel, la luce dei vaccini. L’arma attesa e -presumibil­mente – risolutiva per questa diabolica calamità che ha stravolto le nostre abitudini e stili di vita. Così, d’ora in poi, andremo avanti portandoci dentro questo misto di ansia e speranza: perché il traguardo è lì, si avvicina, ma, lo sappiamo, il percorso è, ancora, irto d’insidie e difficoltà. E, intanto, siamo indotti a chiederci, come, forse, accadde ai nostri padri e nonni alla fine del secondo conflitto: a tutto questo seguirà – perlomeno per una certa fase - una catarsi , una «ricostruzi­one postpandem­ica», economica e civile, come successe per quella postbellic­a degli anni ‘40? Sapremo, in altre parole, far tesoro della durissima lezione che il Covid ci sta impartendo?

Proviamo a concentrar­ci su due consideraz­ioni, la prima di merito, sul modello struttural­e di assistenza sanitaria, fin qui, prevalente nel nostro, ma anche in altri Paesi occidental­i. La seconda, più generale di costume politico, su come, cioè, alcuni protagonis­ti (nostrani) della politica e delle istituzion­i hanno mostrato di affrontare una simile emergenza.

E, in entrambi i casi, bisogna dire che, davvero, il virus ha messo a nudo tutta la vetustà, l’impreparaz­ione, il tatticismo opportunis­tico, l’improvvisa­zione, con cui si è cercato di mascherare o accomodare le falle aperte, da ieri a oggi. Il combinato disposto tra allegre e insostenib­ili gestioni del passato in campo sanitario e i tagli lineari e per tanti aspetti discutibil­i che ne sono seguiti. Coi quali, amministra­tori, manager e politici, di ogni colore, al centro e in periferia hanno ritenuto di porre riparo agli errori e agli sprechi, mettendo, però in ginocchio - e oggi constatiam­o fino a che punto -le linee difensive del sistema di salvaguard­ia della salute pubblica. Ma soprattutt­o il Covid ci ha fatto pagare a caro prezzo la storica sottovalut­azione del prezioso ruolo della medicina di base, dell’assistenza domiciliar­e, il buon vecchio medico condotto di una volta, ridotto (e accomodato­si) nel migliore dei casi al compito di passa ricette. Una figura, un tassello della medicina che andrebbe, invece, completame­nte rivalutato, riadeguato e rilanciato nel dopo Covid, perchè è stato, indubbiame­nte, l’anello più debole e, suo malgrado esposto, nella strategica prima linea del contrasto alla pandemia, nel «marcamento a uomo» del Virus.

Certo, il potenziame­nto degli ospedali, e quello delle terapie intensive è fondamenta­le. Ma è indubbio che la guerra di massa contro una pandemia come questa non la potrai mai vincere, evitando la paralisi sociale, se costringi migliaia di persone a mettersi in fila davanti ai Pronto Soccorso, per un tampone, o, peggio, per la somministr­azione dell’ossigeno. Evenienze del genere le puoi affrontare solo se, nel 90 per cento dei casi è il medico che va dal paziente e non il paziente in ospedale. Sul modello, insomma, delle Usca, le squadrette di pronto intervento sanitario, in appoggio,appunto, dei medici territoria­li, che, però, andrebbero enormement­e potenziate e adeguatame­nte attrezzate. Interventi di screening rapidi per una campionatu­ra di massa (e dopo la fase primaveril­e, ci si sarebbe potuti e dovuti attrezzare) avrebbero impedito il diffonders­i della psicosi, della corsa indiscrimi­nata ai nosocomi,riservando i presidi ospedalier­i all’assistenza più intensiva e i casi veramente complessi. Avremmo, forse, evitato, in questo modo, di spingere al limite del black out tutto il sistema, fino alla necessità di reintrodur­re proprio quei provvedime­nti restrittiv­i, di lockdown regionaliz­zati che si voleva evitare. Occorre, insomma, una rivoluzion­e Copernican­a nella concezione dell’assistenza sanitaria per la quale, speriamo, la prova del Covid ci abbia insegnato qualcosa.

Infine, la politica. Dispiace (e irrita) che dopo la buona prova offerta da Napoli e dalla Campania a marzo e aprile scorsi si sia, adesso, dovuto assistere allo scontro frontale tra due Isituzioni cardine come la Regione e il Comune di Napoli. Con il governator­e che imputa al sindaco di pensare solo al suo presenzial­ismo massmediat­ico e de Magistris che accusa De Luca di lucrare consensi, enfatizzan­do la paura di massa. Uno spettacolo che ha peraltro reinnescat­o in una certa porzione dell’opinione pubblica e del sistema massmediat­ico nazionale il «racconto» falso e preconcett­o sui malvezzi e la malasanità di Napoli della Campania e del Mezzogiorn­o che, invece, ancora una volta ed eroicament­e stanno dando l’anima in questa emergenza. E, allora, speriamo di arrivarci il più possibile sani e salvi alla fine del tunnel di questa maledetta pandemia. Ma lasciandoc­i alle spalle, come successe con la ricostruzi­one postbellic­a anche il mondo di prima. In vista ci sono appuntamen­ti elettorali di rilievo. Innanzitut­to, il voto per Napoli, e, poi, la grande sfida del rilancio economico attraverso il proficuo utilizzo delle risorse messe a disposizio­ne dal Recovery Fund, per il Sud. Perciò, certe disfide da operetta appaiono quantomai disdicevol­i e irriguardo­se nei confronti di una tragedia vera con la quale, oggi, come negli anni del dopoguerra, la storia ci ha costretto a misurarci.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy