Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Una rockstar votata all’autodistru­zione»

«In campo mai nessuno come lui. Un genio oltre la tecnica»

- Di Gimmo Cuomo

E’innegabile che sia l’esito di un processo di autodistru­zione. Non so quanto consapevol­mente si è fatto trascinare dalla vita. È un percorso evidente, negli affetti e nei comportame­nti». Così il filosofo Biagio de Giovanni.

Non nasconde la commozione per una notizia che definisce senza mezzi termini «sconvolgen­te». Biagio de Giovanni, storico e filosofo, è sempre stato un tifoso accanito del Napoli. E Maradona ha occupato un posto speciale nel suo cuore. «Sono sgomento - confida - come se fosse morta una persona cara a me vicina. Da un punto di vista calcistico Maradona non è paragonabi­le a nessun altro campione. In lui si fondevano la potenza di Ronaldo, l’abilità di Messi, la visione strategica di Platini. Mai nella storia è esistito uno come lui, con buona pace anche di Pelè».

La sua morte è un triste epilogo annunciato?

«È innegabile che sia l’esito di un processo di autodistru­zione. Non so quanto consapevol­mente si è fatto trascinare dalla vita. È un percorso evidente, negli affetti, nei comportame­nti e, dispiace ricordarlo, nell’abuso di certe sostanze».

E ora?

«Già in vita era un mito. Solo che in genere i miti si pescano nelle antologie. A Maradona questa dimensione già appartenev­a».

Una perdita enorme per tutto il mondo dello sport. Ma per Napoli cosa rappresent­a la scomparsa di Maradona?

«Rischiamo di dire cose banali. Lui rappresent­ava davvero un aspetto importante della vita delle città. Certo, i problemi continuava­no ad esistere, ma quando lui era al massimo del suo splendore, i problemi, d’incanto, venivano assorbiti. Tutti i napoletani erano Maradona, operavano una sorta di transfert».

Pensa che la storia di Diego sarebbe stata diversa se non fosse mai approdato a Napoli?

«È innegabile che in città abbia avuto problemi seri. E quando è andato via era già all’inizio della decadenza. Forse gli eccessi della città lo hanno trasportat­o. Certamente lui viveva in modo eccesivo».

Distrutto dal suo stesso talento, insomma?

«Come James Dean o una rockstar è stato un eroe moderno votato a scomparire, destinato a non vivere a lungo. Tanta concentraz­ione di energia e di forza inevitabil­mente finiscono per essere fattori annichilen­ti. Ha incarnato gli aspetti tragici della contempora­neità».

Forse anche degli eroi tragici della classicità?

«Beh, al di là dell’ambito nel quale ha manifestat­o il suo enorme talento, si può effettivam­ente paragonare ai protagonis­ti delle grandi tragedie greche che correvano incontro alla morte. Non dico che volesse scientemen­te morire. Ma, per una persona così, il tempo è naturalmen­te accelerato. La sua dimensione tragica emerge plasticame­nte in quell’urlo, quasi disumano, dopo il gol ai mondiali americani del ‘94». Lo ricordi sul campo.

«Il gol con la mano contro l’Inghilterr­a è stato quanto di più divertente si sia mai visto in uno stadio. La sua era arte pura, non tecnica. La tecnica, in fin dei conti, è solo meccanica. Lui era invece un concentrat­o di genialità. Ogni volta che aveva il pallone tra i piedi inventava, alternando accelerazi­oni pazzesche a stop improvvisi. E nessuno poteva stargli dietro. Stiamo forse esagerando? Non credo, lascia un vuoto che nessun altro potrà mai colmare».

Come James Dean o una rockstar è stato un eroe moderno destinato a scomparire, a non vivere a lungo

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