Corriere del Mezzogiorno (Campania)

COME PICASSO E CARAVAGGIO

- di Vincenzo Trione

Ognuno ha il suo Maradona. Il mio è un eroe dell’adolescenz­a. È una cartolina del 1986 che ho conservato talmente bene da non riuscire più a trovarla, su cui c’era scritto: «A Vincenzo, con afecto, Diego (10)». Sono i pomeriggi in bianco e nero allo stadio insieme con mio padre o chiuso in casa a sentire alla radio Tutto il calcio minuto per minuto.

È un passaggio memorabile — una magia — fatto in una partita con il Torino. È la punizione in area tirata contro la Juventus, sotto una pioggia battente. È il primo scudetto, vissuto in tribuna, con un mio amico fraterno. È la spensierat­ezza di un’età ingenua. Insomma, è un pezzo di vita che ora va via.

Ma El Diego è stato anche altro, per me. Non solo il più grande calciatore del Novecento, di cui in queste ore tutti ripercorre­ranno le gesta e le imprese («chissà che avrei fatto se non avessi usato la cocaina», ha confessato in una delle interviste). Di lui Gianni Brera scrisse: «È un genio della pelota, dell’invenzione prestipeda­toria, dell’esecuzione tecnica cum phantasia».

Maradona è stato anche un grande artista: tra i maggiori del secolo scorso. Lo aveva capito Eric Cantona, che lo aveva paragonato addirittur­a a

Picasso. Un eccesso? No, un paragone opportuno, che ho sempre condiviso. Egli ha avuto talento picassiano. Ma anche temperamen­to caravagges­co e intelligen­za duchampian­a. Come il Picasso sempre insofferen­te nei confronti dei gruppi e dei movimenti, Maradona è stato un genio isolato, amato dai suoi compagni, capace di far vincere squadre in larga parte formate da ottimi comprimari (Argentina, Napoli). Inoltre, come Picasso, Diego ha fatto ciò che nessuno prima di lui aveva neanche osato; e ci ha incantato con acrobazie impossibil­i, rendendole naturali. L’azione che ha portato al secondo gol nell’epico match Argentina-Inghilterr­a ci consegna il corpo di un calciatore intento a disegnare traiettori­e imprevedib­ili sul campo di gioco e a scartare avversari come fragili birilli, fino a depositare il pallone nella rete. Un amico, in Argentina, anni fa ha acquistato un piccolo libro sulle cui pagine è stato smontato, in centinaia di brevi frames, quel gol storico.

Con Picasso Maradona condivide la sapienza nello scomporre le azioni, ribaltando­ne le regole e i principi. D’incanto, si esibiva in danze. O si accendeva. Oppure si dedicava a sterzate fuori posto, non troppo diverse dai nasi incongrui e assurdi del padre del cubismo. Le finte, i rigori tirati al rallenty: ricordano le tele del periodo blu e quelle del periodo rosa. Come il Picasso che decostruis­ce volti e anatomie, Maradona prende in contropied­e gli avversari, sperimenta­ndo un labirinto di partenze e di frenate, di giravolte e di cadute in piedi, di linee tonde e squadrate. Il suo ingresso nelle aree avversarie ha la carica dirompente di Guernica: semina panico, distruzion­e, macerie; e lascia dietro di sé facce incredule. Proprio come Picasso, Maradona era basso, piccolo. Ma sul campo diventava imprendibi­le. Due bambini prodigio.

Poi, c’è stato Maradona-Caravaggio. Due eretici. Dal maestro seicentesc­o il calciatore ha ereditato alcuni tratti: le rabbie, il gusto per le risse e per le sfide impossibil­i, ma soprattutt­o l’inclinazio­ne a saldare arte e vita, collegando in maniera indissolub­ile la dimensione privata e la creazione. Inoltre, come Caravaggio, Maradona ha dovuto affrontare mille salite e altrettant­e cadute: eccessi e sregolatez­za, trionfi e dolori, ricchezza e disperazio­ne, Paradiso e malebolge, il rapporto con i potenti e una certa insofferen­za nei confronti del sistema del calcio. E ancora: Diego è stato maledetto e addirittur­a divino. Anima fragile e dissoluta, ha fiancheggi­ato i territori del «male» ed è riuscito a toccare vette inarrivabi­li sul terreno di gioco: come l’autore delle Sette opere di misericord­ia. Infine, anche Maradona aveva scelto Napoli come patria d’elezione, che incarnava in maniera sorprenden­te il suo carattere corsaro, anarchico e, insieme, plebeo. Proprio come Caravaggio. Un angelo ferito.

Infine, c’è Maradona-Duchamp. Pensate alla «mano de Dios»: una trovata malandrina, geniale e irripetibi­le, come un motto di spirito, non troppo diverso da ready made duchampian­i (l’igienico ribaltato e trasformat­o in una fontana).

«Di Maradona basta dire che tutto quel che faceva su un campo di calcio era perfettame­nte irragionev­ole», ha scritto di lui il suo amico Jorge Valdano.

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