Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Siciliano: «Rifiutai due cattedre negli Usa per vederlo giocare»
A piazzetta Matilde Serao. Parlavo «direttamente con la redazione di Roma» perché in quegli anni chi aveva accesso al campo Paradiso era quasi un vate, e la paginata da scrivere non mancava mai.
La Napoli post terremoto, da città negletta era assurta all’invidia del mondo e noi ragazzi intraprendenti al debutto nella professione fummo travolti da improvviso benessere. Come tanti colleghi, credo, appena arrivata la triste notizia, ho tirato fuori i vecchi ritagli di giornale, cartoline di Lodrone con l’autografo per gli amici, interviste nate sulla Lettera 32 che ora mi sembrano terribilmente ingenue. Come quella storia del cappello bianco, il suo portafortuna nell’ anno del primo scudetto.
Chi se la ricordava? Aggiungo quindi il mio piccolo mattoncino al muro del pianto associandomi all’unica parola che oggi ha senso. Grazie.
Perché formidabili furono quegli anni. «Ma torna? Non torna? Dottoressa... voi che sapete...’». L’edicolante e il panettiere non ti dicevano neppure buongiorno. Conoscere Maradona e quindi probabilmente anche i suoi segreti era un grado di nobiltà. Il tifosi si abbeveravano ai giornali.
Poi la domenica c’era la diretta di Radio Kiss Kiss. Chi ha avuto la fortuna di fare il cronista sportivo in quelle sette incredibili stagioni è andato a letto ogni notte con nella testa Maradona e si è svegliato pensando a lui, al romanzo che avrebbe scritto. Sarebbe rientrato in tempo dall’Argentina, ma con Claudia o senza Claudia? Verrà in ritiro o litigherà con Bianchi? Si sarebbe allenato, avrebbe preso l’aereo insieme ai compagni? Sarebbe dimagrito dal dottor Chenot? Nessuno poteva prevederlo, neppure Signorini o Carmando, ma di sicuro Diego ci avrebbe regalato almeno un titolone al giorno. D’altra parte lo faceva da quando era bambino.
«Ho due sogni, il primo è giocare un mondiale, il secondo è vincerlo». Perfetto, no?
Grazie Maradona per averci fatto scrivere del calcio più bello del mondo e difeso la nostra città, per averci fatto viaggiare dall’America al Giappone, dettare pezzi immaginifici
«a braccio» dal telefono della tribuna stampa, vedere colleghi anziani piangere di commozione al vecchio Comunale di Torino, gli emigrati impazzire di gioia sui viali di Monaco e Stoccarda. Seguire la sua vicenda umana e sportiva è stata una «scuola di giornalismo» per una generazione, e tante grandi firme anche della politica, hanno iniziato raccontando l’ epica maradoniana, sin dalla spy story del suo arrivo dal Barcellona, passando dalle magie sul campo alla cronaca rosa, di costume e purtroppo giudiziaria.
A me è capitato veder sistemare le sue maglie nelle vetrine del Mann per la mostra del Calcio Napoli, infondo sempre tra i miti mi tocca di lavorare...
È vero direttore, allora eravamo in pochissime a dare le pagelle agli uomini sulla carta stampata (Licia Granello, Emanuela Audisio, Laura Alari), non credo che per Diego abbia mai fatto la differenza. L’ amicizia sì. Quella ad esempio con il mio «maestro» Carletto Iuliano, ufficio
stampa del Napoli, e la sua bella famiglia. Quella con Bruno Pesaola, come lui argentino abituato a cenare di notte, dopo i salotti televisivi, e uscire all’alba dai locali stupendosi che alle sette e mezzo ci fosse gente in strada.
Il 17 marzo del 1991, dopo NapoliBari (la partita che portò alla squalifica per doping) Maradona farà l’ultima apparizione della sua prima vita nella sede del quotidiano il Roma, al centro direzionale. Voleva bene al capo Ciccio Degni e firmava per noi una rubrica. Fu festa in redazione, lo ricordo con la faccia stanca e un brutto maglione bianco e nero. Poi la domenica successiva il commiato a Genova contro la Sampdoria, l’ultimo gol. Tutto il resto lo abbiamo seguito da lontano, anche quando Diego tornò fisicamente da queste parti. Ma quel ragazzo magico, sfrontato e geniale, che è si è portato via un pezzo della nostra vita, non c’ era più già da tanto tempo.