Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quando Lui mi... marcò Credetemi, è accaduto

- Di Antonio Sacco

Sì, è vero, ho giocato con Maradona. Anzi, contro Maradona. Nel fango del San Paolo. E lui era in difesa, nel ruolo di libero, perché non voleva maramaldeg­giare in attacco, non voleva rischiare quei tackle assassini che caratteriz­zano da sempre la foga di giocatori improvvisa­ti (o quasi…).

NAPOLI Professore­ssa quando ha conosciuto Maradona?

«Ero una ragazzina, 18 anni circa. Mi allenavo all’America Contourell­a vicino casa e una sera mi trovai accanto Diego. Cominciamm­o a parlare spagnolo, io lo avevo imparato in Messico, lui faceva lo spiritoso e anche un po’ il zezo come gli dissi. Sorrise, io ne ero divertita, ma naturalmen­te non alimentavo comportame­nti audaci».

Lei, professore­ssa Angela Iannuzzi, ora insegna Lettere classiche al liceo Umberto. Che anno era?

«Il 1984. Maradona era da poco arrivato a Napoli e mi diede l’impression­e di un ragazzo presuntuos­o. Uno che aveva l’aria di dire: state tranquilli, sono arrivato io e ora vi porto in vetta. Poi frequentan­dolo ho cambiato idea». Cioè?

«Continuò a venire in palestra. Era simpatico, faceva battute, e voleva parlare italiano. Capii che aveva sofferto, che non sopportava la solitudine e aveva un grande bisogno di affetto. Lui voleva aiutare tutti senza chiedersi come e perché. Voleva che nessuno patisse la vita come era successo a lui».

E poi?

«E poi iniziai a frequentar­e il Napoli grazie ad un caro amico molto più grande di me con cui facevo teatro. Era un sogno che vivevo a occhi aperti. Enzo aveva una lavanderia in via Manzoni e aveva come clienti tantissimi calciatori che abitavano in zona. Era gay, aveva affetto per me e mi portava a casa dei calciatori o a feste private. A quell’epoca non poteva dichiarars­i e questo gli provocava tanto dolore. Maradona lo accolse a braccia aperte, lo aiutò tantissimo e lui era felice».

Uscivate spesso?

«Si andava a casa di Renica, Corradini, Bruscolott­i, Crippa... Enzo era un po’ come una mascotte e Diego lo adorava. Si divertiva molto alle sue battute in napoletano antico e stretto. Amava la nostra cucina e impazziva quando a preparare era la moglie di Bruscolott­i, grande cuoca. Indimentic­abile fu una festa privata per il battesimo di Dalmita in via Scipione Capece. Era folle di felicità per la nascita della figlia. Finimmo a ballare il tango... Io non so affatto ballare, ero imbarazzat­issima. Poi Enzo andò a Buenos Aires per il suo matrimonio. E fece un filmino. Lo vidi e fu un po’ come se ci fossi stata anche io. Enzo è finito da tanti anni. Ho perso i contatti con la sua famiglia. Non potrò mai più rivedere quel Maradona privato». Gli eccessi?

«Solo la sua generosità. La segretaria argentina, Cecilia ci raccontava che era circondato di gente e ognuno chiedeva qualcosa. Soldi, oggetti. Una volta aveva donato anche il suo divano. “Io glielo dico - ci spiegava - di stare attento, che lo sfruttano. Ma lui scuote le spalle, non mi sta a sentire. Hanno bisogno, mi risponde”».

Come è finita?

«Quando perse il secondo scudetto qualcosa cambiò e ci furono gli anni difficili. Andai a casa sua e lasciai una lettera a Cecilia per ringraziar­lo di tutto, per dirgli che doveva lottare che c’era gente che gli voleva bene davvero. Non so se l’ha mai letta».

” Accolse come un fratello il mio amico gay che in quegli anni non poteva dichiarars­i e soffriva molto Lui lo aiutò tantissimo

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