Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Io, prima giornalist­a a dare i voti al «re»

- Di Francesca De Lucia

erché non scrivi un tuo ricordo di Maradona? L’hai conosciuto da vicino, non eri l’unica donna giornalist­a che seguiva quel Napoli?». Con il direttore Enzo d’Errico ci siamo incrociati a Paese Sera nei primi anni ‘80, e quindi ricordava bene. In virtù di Maradona avevo occupato una scrivania nella vecchia sede.

NAPOLI «Mi ero laureato in Ingegneria elettronic­a alla Federico II nel 1982 e nei tre anni successivi avevo avuto un dottorato di ricerca. Da settembre 1985 a giugno 1986, intanto, ero stato visiting scholar al Georgia Institute of Technology di Atlanta. Negli Stati Uniti andai con un biglietto aereo dal Giappone dove, a Tokio, avevo tenuto la mia prima presentazi­one: avevo intenzione di spaccare il mondo».

E in effetti per Bruno Siciliano, che oggi è docente di automatica al Dipartimen­to di Ingegneria elettrica e delle tecnologie dell’informazio­ne della Federico II ed è tra i più noti esperti di robotica del mondo, le cose andarono bene, tanto che gli fu offerta per la prima volta la possibilit­à di restare a lavorare negli Stati Uniti. Ma lui scelse Maradona. Per la prima volta, poi un’altra seguì.

Professore Siciliano, come andarono le cose?

«Il primo anno di Maradona al Napoli non fu entusiasma­nte. Ma al secondo le cose già cambiarono, anche perché arrivarono anche altri giocatori di alto livello. Io ero al Georgia Tech, tornai solo per Natale, e a quel tempo non c’era Internet, non c’erano i cellulari, non c’erano le tv satellitar­i, non si sapeva nulla. Dei giornali italiani in biblioteca trovavo solo il Corriere della Sera, ma in ritardo. Insomma la domenica aspettavo di parlare al telefono con mia sorella o con quella che allora era la mia fidanzata e oggi mia moglie per sapere cosa aveva fatto il Napoli. Ricordo che domenica 3 novembre 1985, seppi da mia sorella dell’incredibil­e punizione di Maradona alla Juve. Non c’erano neanche le email, si scrivevano lettere: mi mandarono i ritagli dei giornali con gli articoli su quella magia, li conservo ancora». L’incarico rifiutato?

«A giugno tornai in Italia per la tesi di dottorato, ma a

Napoli non avevo neanche una borsa di studio né prospettiv­e immediate. In effetti il posto da ricercator­e venne fuori tre anni dopo. Negli Usa, invece, il chair del dipartimen­to di Meccanica mi propose la cattedra come assistant professor. Significav­a uno stipendio da 50 mila dollari l’anno. Ma scelsi il Napoli e mi abbonai in curva A. Ne valse la pena perché l’anno successivo vincemmo lo scudetto».

Professore, come ha saputo della morte di Maradona e qual è stata la sua reazione?

«Ero a casa, stavo partecipan­do a una call con il mio gruppo di lavoro. Ho pianto come quando ho perso mia madre e mio padre. Non sono riuscito a cenare, sono rimasto imbambolat­o fino a notte come un ebete davanti alla tv. Mi sono commosso quando ho visto Bruscolott­i in lacrime su Canale 21. Alla fine, all’una e 30 mi sono messo a lavorare. Nel frattempo mi sono arrivati almeno cento messaggi di ex allievi e colleghi anche dal

l’estero che sapevano della mia passione».

Ma lei Diego lo ha mai incontrato?

«Una sola volta l’ho incontrato e baciato. Dopo la vittoria della Coppa Uefa, al ritorno da Stoccarda, lo attesi in aeroporto e riuscii a intercetta­rlo per pochi attimi. Non ero andato in Germania per quella partita, quella prima della quale fu registrato il video in cui Diego faceva riscaldame­nto palleggian­do al ritmo di Live is life, ma ero stato al San Paolo per la partita di andata».

Torniamo all’Università. Quando preferì Maradona a una cattedra negli Usa per la seconda volta?

«Tra la fine dell’88 e l’89. Mentre qui si profilava il posto da ricercator­e, spuntò la possibilit­à di andare a Stanford, in una delle più importanti università del mondo. La mia fidanzata si era appena laureata in Giurisprud­enza, laurea che in America non sarebbe servita a nulla, e stava studiando per il concorso in magistratu­ra. Ma non mi condizionò. Tuttavia, dopo qualche notte insonne dissi di no.

” In America All’epoca non c’erano Internet, telefonini e mail e non potevo seguire le partite e il Napoli

Scelsi di nuovo Maradona e nel ‘90 vincemmo ancora: rinunciare a due cattedre ha fruttato due scudetti».

Ne fu certamente felice, ma fu la scelta giusta?

«Be’, i miei genitori mi chiesero se fossi impazzito. Così dentro di me cominciò una sorta di sfida. Che ho vinto, visto che oggi molti studenti americani, ma anche cinesi e di altri Paesi, studiano sul mio libro di testo di robotica, che porta il marchio della Federico II. Libro che inizialmen­te avevo proposto per la pubblicazi­one in inglese a una casa editrice con sede a Milano. L’editor era scettico e lo tenne fermo per un anno. Allora mi rivolsi alla casa madre a New York, dove il testo fu accettato al primo colpo. Poi mi hanno pagato anche la traduzione in italiano, quattro milioni di lire che ho preteso per una questione di principio non di soldi. Ora sto lavorando alla quarta edizione del testo».

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Bruno Siciliano, tra i massimi esperti di robotica al mondo; a lato un omaggio al Napoli
Creature Bruno Siciliano, tra i massimi esperti di robotica al mondo; a lato un omaggio al Napoli

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