Corriere del Mezzogiorno (Campania)

È accaduto

- di Antonio Sacco SEGUE DALLA PRIMA

E così, in tante occasioni, è proprio lui, Diego, ad anticipare me, che invece gioco davanti, o a contrastar­mi. Senza commettere fallo, naturalmen­te. E senza prendermi in giro, come avrebbe potuto. Anzi, aiutandomi a sollevarmi dal terreno, insieme con lui, tendendomi la mano.

No, non sto delirando. È vero, credetemi, è accaduto. Una storia che ho tante volte raccontato ai miei nipoti e ai figli degli amici più cari e tra un paio d’anni racconterò a Francesco, ora il più piccolo della famiglia. Proprio come una favola, perché io, giornalist­a immerso nel mondo reale, ricordo come una fa

vola quel giorno.

È il 19 novembre 1984, Maradona era arrivato da quattro mesi a Napoli, in una città che lo aveva accolto come il re del calcio, riempiendo subito il San Paolo soltanto per poterlo salutare. Il suo primo ritiro con il Napoli a Castel del Piano, dove ora ricordano la prima amichevole, gli allenament­i a Soccavo, il primo campionato in azzurro, allenatore Rino Marchesi, i primi contatti con la città. I buoni rapporti con i giornalist­i napoletani — soprattutt­o con chi era stato a Barcellona nei giorni delle lunghe trattative — mediati dal piccolo, grande Carlo Iuliano, capo ufficio stampa della società di Ferlaino. Maradona vive circondato dal suo clan, guidato dal manager Jorge Cyterszpil­er e dall’amico massaggiat­ore Fernando Signorini, nel quale era entrato anche l’argentino, ormai napoletano, José Alberti. Cosa c’è meglio di una partita di calcio per cementare il rapporto tra i giornalist­i e Maradona e i suoi amici? Diego ama il calcio

più di ogni altra cosa, molti di quei giornalist­i amano il calcio più di ogni altra cosa. Figuriamoc­i se si può giocare sullo stesso campo con Maradona.

Allora è fatta, si organizza. Il giorno giusto, proprio come succede quando si concedono i teatri, è il lunedì. Viene scelto il 19 novembre, il giorno dopo Ascoli-Napoli. Altri tempi, oggi naturalmen­te

sarebbe impensabil­e perfino immaginarl­a una storia del genere. Che so, Cristiano Ronaldo che invece di allenarsi a casa nella sua fantastica palestra privata decide di fare una partita con i suoi amici contro un gruppo di giornalist­i torinesi...

Allora no, era tutto diverso. I giornalist­i che seguivano il Napoli vivevano di fatto a Soccavo, salivano la rampa che portava verso il campo, sedevano ad osservare l’allenament­o, cercavano di capire chi avrebbe giocato, impostavan­o le loro probabili formazioni, parlavano con i calciatori, anche se la chiacchier­ata non si sarebbe poi trasformat­a in intervista. Ogni giornalist­a aveva il suo… confidente, i migliori più di uno. E i cosiddetti soldati, come sempre, erano quelli da cui si ricevevano le notizie più importanti. E così siamo stati in tanti ad ammirare i primi allenament­i di Maradona, la sua gioia nel palleggiar­e nel fango, i tiri calciati alle spalle della rete che finivano magicament­e in...rete, le sue punizioni che centravano sistematic­amente la traversa o il palo perché erano quelli gli obiettivi, non il gol: troppo facile per lui.

Io lavoravo alla Rotopress, la prima agenzia stampa nazionale ad occuparsi esclusivam­ente di sport, nata a Napoli per l’intuizione di Giuseppe Maria Pisani. Seguivo il Napoli, e non solo, e giocavo a pallone. Attaccante, appunto, fin da bambino. Non potevo mancare nella squadra dei giornalist­i, tantissimi del Mattino, in un’occasione così straordina­ria.

Il Napoli ad Ascoli pareggia 1-1: in vantaggio grazie a un gol di Penzo che aveva messo in rete la palla respinta dalla traversa su tiro, neanche a dirlo, di Maradona, era stato raggiunto nella ripresa da Vincenzi. Nel finale di partita il fattaccio: Diego litiga con Nicolini e tutti e due vengono espulsi. Ecco, ci diciamo tutti preoccupat­i, va a finire che Maradona domani non vuole più giocare. Ma il lunedì mattina, nonostante la pioggia e le nostre paure, Diego si presenta regolarmen­te con la sua squadra, perché per lui giocare a pallone è la cosa più bella del mondo. Anche contro i giornalist­i che mettono i voti alle sue prestazion­i, che lo seguono fin sotto casa, che non lo lasciano mai in pace e che, però, fanno il loro mestiere. Batterli sarà divertente, tanto divertente. Soprattutt­o quando, stanco di restare in difesa, prende palla, attraversa il campo e se ne va a segnare un gol facile facile. Per lui, naturalmen­te. Io lo vedo da bordo campo, uscito per dare la possibilit­à ad un altro collega di poter giocare. Non ho fatto gol, ma posso dire che con me in campo Maradona non ha segnato… Caro Diego, come sono belle le favole. Di questa mi resta una foto, io sono accovaccia­to e tu hai una mano sulle mie spalle. Quella con cui ci siamo rialzati dal fango del San Paolo, che ora sarà per sempre il tuo stadio. La mano di D10S.

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