Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Chi ha retto l’Autorità ha avuto ben chiara la direzione di marcia
Anche nei momenti più duri della pandemia e durante i lockdown i porti italiani hanno continuato ad operare garantendo gli approvvigionamenti indispensabili ad industria e sistema produttivo. Questo ha fatto prendere coscienza dell’importanza della portualità e della logistica e di come essi siano strategici in un Paese dove 250 miliardi di euro di import-export è movimentato via mare, a cui si aggiungono 55 milioni di passeggeri annui.
Oltre a questi numeri c’è poi un altro elemento. L’economia portuale è anche uno straordinario acceleratore dell’economia nel suo insieme poiché ha un moltiplicatore del reddito pari a 2,5. Ogni 100 euro di investimenti si genera una domanda aggiuntiva di 250 euro.
Ma tutto ciò che ruota intorno alla portualità è un sistema complesso che richiede attenzione, strategie, risorse pianificate e spese per opere mirate allo sviluppo del territorio e per reggere la competizione degli altri porti del Mediterraneo.
Il Covid-19 ha accelerato alcune dinamiche che erano già in corso e modificato altre di cui dobbiamo comprendere gli effetti nel breve e lungo periodo: la regionalizzazione delle rotte, il blank sailing (cancellazione di servizi marittimi diretti), lo slow steaming (navi che percorrono le rotte ma a minore velocità), l’emergere di rotte alternative a Suez, la crescita della competitività di alcuni porti del Mediterraneo e l’emergere di difficoltà operative di alcuni porti del Nord Europa. Un quadro in rapido mutamento di cui occorre comprendere l’impatto potenziale su di noi.
Gestire uno scalo oggi non vuol dire pensare solo al traffico (pur se importante) ma vuol dire guardare al presente ed al futuro avendo capacità di predisporre una strategia complessiva capace di fare del porto un motore di sviluppo del territorio e un soggetto che aiuta la resilienza agli shock economici.
Ecco perché ridurre la discussione al nome di chi sarà il Presidente senza ragionare su quale modello di porto si vuole sviluppare rischia di essere un errore.
Da qualche anno Srm ha individuato un modello portuale denominato Porto 6.0 che racchiude tutta l’esperienza maturata nell’aver avuto rapporti con i più efficienti porti sia del Northern Range Europeo che del Middle e Far East e averne compreso i punti di forza e di debolezza.
Un porto capace di essere motore dello sviluppo locale, hub di attrazione di investimenti e di innovazione. Questo deve essere il modello seguendo gli esempi migliori e basandosi su sei driver di sviluppo: Innovazione, Internazionalizzazione, Intermodalità, Ricerca, Sostenibilità e Free Zone. Tutti integrati tra loro e tutti rivolti a far assumere allo scalo stesso un ruolo guida che va ben oltre la sola attrazione e movimentazione di navi.
Digitalizzare i propri processi, rendersi più internazionali, combinare tra di loro metodi di trasporto, avere rapporti con Centri di Ricerca ed Università, adottare il paradigma della sostenibilità promuovendo l’elettrificazione delle banchine, gestire una Zona Economica Speciale sono tutti passi che richiedono tempo, lavoro e competenze che non si improvvisano.
In questo ultimo quinquennio i porti di Napoli e Salerno hanno lavorato in questa direzione. Ed è giusto riconoscerlo. Certo tra mille difficoltà e problemi frutto anche della complessità del territorio e di una non facile governance. Ricordiamoci poi che il lavoro è stato impostato dopo anni di gestioni commissariali e di totale immobilismo. Per decenni l’Italia intera ha completamente dimenticato l’importanza strategica della portualità riemersa solo con la riforma del 2016.
Ed è in questo contesto che si collocano le Zes su cui l’Autorità di sistema portuale ha dimostrato fin da subito di credere con determinazione. Ed è ora il momento di procedere, senza più indugi.
In un momento economico delicato come quello che stiamo attraversando è necessaria coesione, una mano sempre tesa, la consapevolezza che il porto è il cuore dell’economia della regione ed è un pezzo del «sistema paese» di cui tanto si parla.
Per questo appare più corretto chiedere che chiunque sia il prossimo presidente dell’autorità portuale sia persona che abbia le competenze necessarie per continuare il cammino intrapreso, abbia le conoscenze del sistema istituzionale e produttivo locale e soprattutto abbia una vision corretta su quale sviluppo perseguire.
Tutti, sempre, possiamo fare meglio di quanto facciamo e occorre onestà intellettuale per riconoscere anche gli errori che si compiono. Le critiche per chi guida sistemi complessi come un Porto possono essere molto utili quando le si sanno ascoltare e quando sono costruttive. Ma altrettanto occorre riconoscere che chi ha retto l’Autorità di sistema portuale in questi anni ha avuta chiara la direzione di marcia. E non è poco. E poi ricordiamoci un detto antico: il «meglio» è spesso nemico del bene.
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