Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Super Modern Il laboratori­o di architettu­ra chiamato Napoli nel libro collettivo di Lan «Fare città» tra il 1930 e il 1960

- Di Pierluigi Panza

Quindi non ci sono solo le Vele di Scampia, no! Tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del secolo scorso, Napoli è stata un laboratori­o di architettu­ra moderna. Forse mal conservata o non fruita secondo le intenzioni, ma dai tempi della Mostra d’Oltremare sino alle opere di Riccardo Dalisi nel rione Traiano l’architettu­ra del Movimento Moderno, e anche un po’ Postmodern, ha bagnato Napoli «in maniera del tutto naturale», come racconta il critico Manuel Orazi.

A certificar­lo viene un libro a cura di Lan (Local Architectu­re Network), Benoit Jallon e Umberto Napolitano intitolato Napoli Super Modern (Quodlibet, illustrato, pp.232, euro 48) che, a partire dall’arrivo del Razionalis­mo con le esperienze degli architetti Cosenza, Canino, Vaccaro e Rudofsky dimostra il tentativo di “fare città”, fare la città moderna.

Quali sono i “monumenti” di questo territorio razionale? Se ne può proporre un elenco: il Mercato ittico, la Stazione Marittima, il Palazzo delle Poste, l’Istituto Nazionale Assicurazi­oni, Villa Oro, gli Uffici Finanziari e Avvocatura di Stato, il Padiglione dell’Albania, il Teatro Mediterran­eo, la Stazione di Fuorigrott­a della Cumana, il magico esotismo del Cubo d’Oro, le Case popolari del rione Battisti, la Clinica Mediterran­ea, l’edificio in via Ponte di Tappia, il palazzo d’angolo in piazza Municipio, il grattaciel­o della Cattolica Assicurazi­oni, la sede dell’Inps, l’edificio Riviera di Chiaia 206 (il meno riuscito) e il Palazzo Della Morte.

Il Mercato Ittico dell’antifascis­ta Luigi Cosenza (192935) è l’avvio del Moderno a Napoli. Con Rudofsky (i due firmano insieme Villa Oro, icona dell’architettu­ra tra le due guerre), Cosenza condivide l’idea di coniugare l’internazio­nalità alla cultura mediterran­ea. È un progetto che con il diffonders­i dello stile piacentini­ano si infrange, pur portando quest’ultimo alla realizzazi­one di opere di qualità come il Palazzo delle Poste del 1936, capolavoro d’ordine di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi o come il Palazzo degli Uffici Finanziari e dell’Avvocatura di Stato, vinto per concorso da Marcello Canino, che propone superfici di rivestimen­to di alta qualità – basamento in travertino e paramenti in laterizio – e che rimanda al maestro del Razionalis­mo Peter Behrens.

Guido Canella scrisse che il “classicism­o critico” di Canino raggiunge il suo vertice proprio con la spettacola­re, scenografi­ca esedra di questo palazzo.

Anche il Teatro Mediterran­eo è un capolavoro di riaggiorna­mento moderno del classico, che è una delle misure che caratteriz­zano il “super moderno” napoletano. Lo realizzò Luigi Piccinato tra il 1939 e il 1940 ed è un fondale visivo con piano basamental­e in marmo verde serpentino e gradinata che conduce alla sala teatrale, con loggia scandita da 14 slanciate colonne con capitelli dorati. I lampadari di Venini sono di Giò Ponti. Non si possono non osservare delle connession­i di questa architettu­ra con quelle milanesi di Muzio. Anzi, un parallelo Napoli-Milano emerge con forza all’osservazio­ne del grattaciel­o della

Cattolica Assicurazi­oni e del palazzo d’angolo in piazza Municipio che sono come le torri di piazza della Repubblica a Milano.

Anche l’edificio in via Ponte di Tappia di Raffaello Salvatori è straordina­rio al pari di quello di Moretti in corso Italia.

E la Stazione Marittima fa il pari con la Stazione Centrale ambrosiana. Napoli dialoga con Milano sino al Dopoguerra, dopodiché lo sviluppo economico diverge e l’architettu­ra, che è anche specchio della società, si volge al Nord. Non si scopre in queste opere una declinazio­ne del folklore o la Napoli dei viaggiator­i del Grand Tour che riscopriva­no a Pozzuoli il Tempio di Serapide ora oppresso, sprofondat­o intorno alla piazza che lo perimetra.

C’è più ragione che poesia in queste architettu­re, sebbene nella Stazione di Fuorigrott­a della Ferrovia Cumana, realizzata tra il 1939 e il 1940 da Frediano Frediani, sopravviva del lirismo nelle linee morbide, eccentrich­e. Il riferiment­o è al Tempio di Diana a Baia, ma anche alla Stazione Marittima.

A Napoli qualcuno (oltre agli studi di Renato De Fusco) si è accorto che se il magnifico Settecento studiato da Cesare De Seta non torna più, c’è stato qualcosa anche dopo. E questo qualcosa è diverso dalle serie televisive e dalle grottesche liti tra politici!

Oggi c’è un Teatro San Carlo che ha ripreso a confrontar­si con il mondo, soprintend­enze efficienti, un Museo archeologi­co con grandi iniziative… e c’è anche dell’architettu­ra moderna da tutelare e contempora­nea da portare avanti.

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La Clinica Mediterran­ea di Napoli e l’edificio al numero 206 della Riviera di Chiaia (ph Cyril Weiner)
Testimonia­nze La Clinica Mediterran­ea di Napoli e l’edificio al numero 206 della Riviera di Chiaia (ph Cyril Weiner)
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