Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Mezzogiorno poco reattivo Servono nuovi protagonisti»
Lucrezia Reichlin parla dal Regno Unito, dove insegna Economia presso la London Business School: «La società meridionale è poco reattiva. Bisogna responsabilizzarla».
idea portante del rapporto Svimez è che il Mezzogiorno è una questione italiana e quindi l’Italia deve pensare in modo congiunto al doppio divario quello tra il Paese e l’Europa e tra il Nord e il Sud». E ancora: «Ha ragione Provenzano, le gabbie salariali sono sbagliate, anche perché al Sud i servizi costano molto di più». E poi: «Il rapporto fa emergere che le politiche pubbliche sono necessarie ma non risolvono i problemi in assenza di condizioni strutturali che le supportino. C’è bisogno di rilanciare gli investimenti pubblici del Mezzogiorno, ma siccome le risorse arriveranno, quali sono le basi per il loro successo?». Lucrezia Reichlin parla dal Regno Unito, dove insegna Economia presso la London Business School. Lascia macigni sul cammino del pensiero debole sudista, piagnucolone
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Lucrezia Reichlin Questa pandemia potrebbe rappresentare la morte di un’intera area del Paese
e col cappello in mano. «La società meridionale è poco reattiva. Bisogna responsabilizzarla, basta piangere sul Mezzogiorno, bisogna essere protagonisti di questo cambiamento».
Quali sono le condizioni perché i miliardi che arriveranno dall’Europa lascino un segno tangibile nello sviluppo del Mezzogiorno?
«La prima è che qualsiasi intervento per il Sud deve essere compatibile con una linea nazionale. Mi spiego: la riconversione ambientale potrebbe essere una strada. Ma bisogna capire qual è la politica energetica dell’Italia per poter parlare di riconversione. E trovare interlocutori di quel territorio, che sono le grandi imprese, ma non solo. C’è un tessuto di medie imprese debole, ma non assente».
E di piccolissime imprese.
«A parer mio non va sostenuto il nanismo imprenditoriale, ma le medie che sono resilienti sì. Tra il 2015 e il 2016 c’è stata una grossa capacità di reazione dell’industria meridionale».
Una delle misure bandiere di questo governo e del ministro Provenzano è la decontribuzione per le imprese che operano nel Sud. Favorevole o contraria?
«Non sono contraria a misure specifiche di incentivo, ma lo sono nei confronti della politica generalizzata degli incentivi ed è responsabilità del governo, ma anche di Confindustria. Le aziende italiane hanno avuto tanti sostegni, bisogna concentrare e creare dei poli, in questo concordo con Provenzano».
Il Polo di San Giovanni a Teduccio, per esempio o l’annunciato Agritech?
«L’idea di creare dei poli che funzionano, che possono essere reinterpretati, facendo politica del capitale umano che renda plausibile un futuro al Sud di giovani con skills. Assistiamo da anni alla desertificazione delle competenze, difficile pensare a una ripartenza senza formazione. Ecco, la decontribuzione può funzionare se complementare a questi investimenti. Ma il problema è che, se devo dire la verità, non ho il quadro di quello che ha funzionato davvero e cosa no. E questa è un’analisi che si fa poco in Italia, nel Sud per nulla. Se si vogliono spendere risorse ci vuole rigore e competenze, anche nella pubblica amministrazione».
Si vogliono reclutare circa 2000 giovani nella pubblica amministrazione.
«Cosa controversa questa. Io non sono molto contraria, meglio affrontarla in questo modo che per nulla, attrarre giovani di talento e non in maniera clientelare, questa deve essere la linea».
Lei ha detto e scritto sul Corsera che è scandaloso che la scuola sia chiusa.
«Tanto più al Sud e in Campania, i ragazzi non vanno a scuola ormai da quasi un anno. Come si dimostra la questione del Mezzogiorno sconta problemi secolari, ma se i ragazzi non vanno in aula per un anno i risvolti saranno persistenti. Molto probabile che questa pandemia non sarà un’occasione di rilancio per il Sud, ma la morte di un’intera area del Paese».
Cosa intende quando dice al Sud servono nuovi protagonisti?
«Quando dico che servono nuovi protagonisti penso a quelle imprese che ce l’hanno fatta nonostante stiano al Sud, bisognerebbe aiutarle e chiedere loro un impegno sul territorio. Hanno una responsabilità enorme. Il capitale sociale, la coesione hanno a che fare con la presenza anche del terzo settore, assente nel Sud. Ha a che fare con tutta quella classe produttiva che esiste. Dopo la fine del modello assistenzialista per mancanza di risorse, è emersa una classe media più resiliente. Va intercettata e motivata. Le politiche devono intersecarsi con questi protagonisti. Tra i quali c’è anche il mondo delle università che non va svilito: non devono essercene troppe, ma alcune e eccellenti come la Federico II».