Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Non l’ho mai conosciuto Ma Diego era mio amico
Il commento Diego è ogni uomo, l’umanità gli appartiene e lui appartiene alla divinità. È e resterà un’icona senza tempo
Si può amare visceralmente Carosello senza averlo mai visto? Io sono nato nel 1985 e l’ultima puntata di Carosello andò in onda sulla Rai il primo gennaio del 1977. No, dunque.
Io non amo Carosello, non ho neanche piena coscienza di quali contenuti avesse al suo interno, e non mi interessa nulla di approfondire il tema.
Invece, si può amare visceralmente un calciatore che ha smesso di giocare in Serie A quando tu di anni ne avevi sei, e neanche hai mai guardato una sua partita allo stadio? Sì, se quel calciatore si chiama Diego Armando Maradona. E io non è che l’ho amato, l’ho vissuto. Io ho vissuto Maradona senza averlo mai vissuto. Nei racconti, nelle immagini delle prime Vhs che entravano in casa mia, negli occhi di chi me lo raccontava c’era quella scintilla che è la magia capace di trasferirsi da uomo a uomo senza bisogno della presenza. L’osmosi magica. Maradona è stato mio amico, mio mito, mio parente, senza esserci mai stato insieme a tavola, senza averlo mai visto da vicino. Maradona se n’è andato da due giorni e nella mia vita c’è un vuoto incolmabile che non so neanche io perché. Quando ho appreso la notizia ho subito pensato: e ora cosa faccio? Come se dovessi fare qualcosa, mandare un telegramma (mi sono limitato a un messaggio al figlio Diego Armando Junior, che ho avuto la fortuna di incontrare per lavoro), andare al funerale. Perché qualcosa c’era da fare; allora ho vegliato silenziosamente il mio mito sconosciuto, quello che io non dovrei venerare, quello del quale non dovrei avere in casa un quadro che ironizza sulla Mano de Dios contro l’Inghilterra, dove degli angeli coprono gli occhi all’arbitro e tirano giù Peter Shilton, il portiere inglese che subì il gol irregolare, eppure fantastico, di Diego. Eppure ce l’ho, troneggia di fronte al divano, sopra la tivù.
Nell’assurdo amore per qualcosa che io non ho toccato mai c’è il respiro di ciò che rappresenta, e sempre rappresenterà, Diego. La capacità di essere l’icona generazionale inaggiornabile, altro che Cristiano Ronaldo, Messi e Ibrahimovic, con buona pace dei loro miti che resteranno scolpiti anch’essi nella memoria e negli almanacchi. Ma qui parliamo di Marilyn Monroe, Ghandi, Madre Teresa di Calcutta. Qui parliamo dell’infinito. Chi lo critica per la droga, la condotta e gli eccessi, è un puritano. Perché la sua colpa è stata l’autolesionismo, il suo teatro la sovraesposizione. Ogni essere umano che lo giudica dovrebbe leggere i Vangeli, ascoltare le parole di Gesù, la pagliuzza e la trave sono l’aneddoto più comprensibile per chi non conosce le opere degli Apostoli. Perché in Maradona c’è anche questo, la caduta con la croce sulle spalle, la crocifissione, la resurrezione. Anzi, le resurrezioni. E non solo dopo tre giorni – tanto che qualcuno ancora ci spera che domani qualcosa possa accadere – ma dopo anni. Dopo centri di riabilitazione, interventi chirurgici, accumuli di grasso. Diego Armando Maradona ha conosciuto mille forme, come l’acqua, che tutti conosciamo quotidianamente, e ne siamo anche in buona parte composti, forse per questo tutti lo hanno amato come uno zio, un fratello. Per lo stesso motivo io mi sento in dovere di scrivere questo articolo, il primo articolo della mia vita – dopo centinaia e centinaia – che per me è un dovere non solo verso i lettori e il mio editore, ma verso di lui. Perché ho la fortuna di poter far arrivare le mie parole alla gente, eppure io vorrei arrivassero solo a Diego. Scrivere un pezzo sulla morte di Maradona è difficilissimo. Non mi arrischio in nessun coccodrillo o analisi di una carriera stupefacente, di una classe aliena all’umanità. Volevo solo chiedermi, una volta in più, come si può amare qualcosa che non si è mai conosciuto. E la risposta è semplicissima: Maradona è ogni uomo. Sono anche io. Siete voi. È il mio editore, il mio direttore, l’edicolante che vi venderà questo giornale. L’umanità appartiene a Diego e Diego appartiene alla divinità. Forse per questo non lo vedremo vecchio. Ma potremo solo immaginarlo, in cielo, a ridare a Dio quella mano che prese in prestito tanti anni fa. In un calcio bellissimo che, senza di lui, mai più esisterà.