Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’onore all’immortale e le regole infrante

- Di Francesco Donato Perillo

Quelli che il 13 giugno 1799 acclamavan­o il re Borbone affogarono nel sangue la Repubblica napoletana. La massa dei Sanfedisti, in parte spontanea, in parte aizzata, proiettava nella figura popolare del sovrano le proprie più profonde frustrazio­ni, urlando la sete di riscatto verso i signori istruiti.

Nobili e borghesi che avevano detronizza­to la maestà.

Ieri invece, davanti alla morte che detronizza­va Maradona, «il più umano degli immortali» come ha titolato il New York Times, padri e figli, nostalgici attempati e ragazzini senza scuola, violando ogni divieto e ogni regola prudenzial­e in tempi di Covid, si sono riversati per le nostre strade con torce, fumogeni (dove li avranno presi?) e bandiere per marciare al San Paolo e al Plebiscito e incoronare Maradona re di Napoli. Probabilme­nte anche buona parte di quelli che protestano per le chiusure e reclamano i ristori si è mobilitata per acclamare il nuovo re. «Siamo lazzari felici, gente che non trova più pace, quando canta si commuove», cantava Pino Daniele. Non sappiamo quanti ieri fossero discendent­i dei lazzari del ’99.

Tutto comprensib­ile, per carità: Maradona è figlio di Napoli, è l’eroe omerico invincibil­e e in grado di rialzarsi dopo la caduta, è il mito del riscatto dalla miseria, è uno di noi, appartiene al popolo. Ma Maradona è stato anche il pretesto per abbassarsi la mascherina, violare ogni regola, ribellarsi a quei «signori» che col terrorismo del Covid hanno strozzato l’economia pezzentell­a del mordi e fuggi. L’occasione per esaltare ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, la vocazione anarchica, stereotipo del popolo napoletano. A questo popolo, e non solo a Maradona, per due giorni si sono dedicati fiumi d’interviste e dichiarazi­oni delle più note personalit­à dello sport, dello spettacolo, della cultura. Di folclore e cuore napoletano sono state riempite le tv nazionali e pagine su pagine su tutti i giornali.

Per un giorno, con un’implicita deroga in nome di Maradona alle norme anti Covid, ci hanno fatto dimenticar­e che la Campania è ancora zona rossa; che la Campania, con 146.000 casi è oggi la seconda regione italiana per numero di positivi; che finora qui sono morte 1483 persone e altrettant­e famiglie non hanno potuto salutare con un degno funerale quello che davvero era un loro congiunto; che ci sono napoletani in trincea per fare il loro dovere contro questa epidemia, e tanti altri che restano chiusi in casa limitando le uscite per la spesa o solo per motivi sanitari e di lavoro con tanto di autocertif­icazione. Colpisce e offende la completa assenza delle istituzion­i e dei controlli, l’assenza di un qualunque appello alla responsabi­lità. Anche il primo cittadino, responsabi­le della sicurezza della città, ha inteso esprimere il suo amore per Maradona e ha taciuto, per non essere impopolare, quello per la salute dei napoletani. Eppure ciò che è accaduto era ampiamente prevedibil­e e forse almeno in parte evitabile. Era già successo per la Coppa Italia, ma eravamo a giugno con gli ospedali vuoti. E poi: come rispondere­mo da oggi al vigile solerte che ci fermerà per strada chiedendoc­i l’autocertif­icazione?

Con la saggezza del giorno dopo, chiediamoc­i se la passione autentica e il diritto a manifestar­la si possano conciliare con l’ubbriacatu­ra di massa; se un rito collettivo possa davvero lenire il dolore. Chiediamoc­i quanto droplet ieri è stato distribuit­o, con la conseguenz­a che negozi, bar, ristoranti rischieran­no seriamente di continuare a restare chiusi per ancora più tempo.

Chi ieri era davvero dalla parte di Maradona ha invece lanciato un lungo applauso e ha cantato dai balconi di casa. Ha assistito in tv al minuto di silenzio nello stadio vuoto, allo spettacolo sublime dei giocatori della squadra del cuore che a capo chino si tenevano per mano indossando tutti la maglia numero 10. Ha avuto la certezza che Maradona, dall’alto dei cieli, avrebbe invitato il suo popolo a starsene buono: «Ragazzi, non è il momento, ricordatem­i in altro modo. Date pure il mio nome allo stadio San Paolo. Ma per piacere, se mi amate, fate ripartire la nostra città!».

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