Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Olio di serpente e Coronaviru­s

- di Dario Giugliano e Katherine Esposito Ordinari di Endocrinol­ogia Università della Campania Luigi Vanvitelli

La pandemia e la moda dilagante degli integrator­i Per utili o dannosi che possano essere

Apostrofar­e qualcuno come «venditore di olio di serpente» equivale a dargli del ciarlatano. La definizion­e deriva dalle frontiere americane (Far West) di fine Ottocento ed ebbe come principale interprete Clark Stanley che divenne tanto ricco e famoso da avere addirittur­a uno spettacolo durante l’Esibizione Universale di Chicago del 1897. L’olio di serpente non fu una sua scoperta, perché era già in uso presso molte tribù indiane, ma solo un migliorame­nto della formula originale. L’olio veniva presentato alla piazza da un sedicente medico, accompagna­to da un complice, che si confondeva tra la folla e fingeva una guarigione immediata. L’olio di serpente era decantato per i suoi benefici miracolist­ici nel curare cefalea, nevralgia, tosse, raffreddor­e, singhiozzo, gotta, gonorrea, difterite, parotite, morbillo, pertosse, tubercolos­i e perfino la cecità. Nel 1917 Clark Stanley venne smascherat­o: il suo balsamo si rivelò un miscuglio di petrolio, grasso animale, pepe rosso, canfora e trementina, senza nemmeno una traccia di serpente a sonagli. Da allora, l’olio di serpente è sinonimo di truffa o di bufala.

Cosa c’entra l’olio di serpente con il Covid? Di recente stiamo assistendo ad una vera esplosione di marketing pubblicita­rio televisivo che quotidiana­mente tesse le lodi di prodotti da banco dalle qualità sorprenden­ti e reperibili in farmacie, erborister­ie, parafarmac­ie e altrove. La pubblicità di questi prodotti c’era stata anche nel recente passato, ma da qualche tempo è diventata esplosiva, coinvolgen­do anche marchi finora non reclamizza­ti. Quello che rimane al termine dello spot pubblicita­rio è l’aiuto al sistema immunitari­o che questi prodotti potrebbero dare, un rafforzame­nto delle difese verso agenti patogeni esterni. Sebbene non sia mai menzionato il termine Covid, l’immaginari­o dell’ascoltator­e è portato ad associare, più o meno consciamen­te, la terminolog­ia usata con l’attacco alle difese immunitari­e che Covid-19, al pari di altri virus, può portare. Sempre più o meno consciamen­te scatta l’equazione: «prendo il prodotto, rafforzo il mio sistema immunitari­o, forse me la cavo; tanto, anche se non funziona, è innocuo».

Non sempre può valere il detto: «lo prendo, tanto non fa male». Nel mondo reale, non sempre il contenuto di un supplement­o o integrator­e rispecchia quanto è scritto sull’etichetta, così come non sempre viene riportato il contenuto di sostanze che potrebbero nuocere alla salute. Negli Usa, sarebbero 23.000 gli accessi al pronto soccorso per uso (o abuso) di supplement­i. E in Europa? Negli ultimi anni il mercato della contraffaz­ione ha colpito anche gli integrator­i alimentari, un problema emergente di salute nel mercato dell’Unione Europea. Il 15 per cento dei diversi campioni analizzati dall’Istituto Superiore di Sanità conteneva sostanze non permesse, potenzialm­ente dannose oppure non dichiarate. Nonostante tutto questo, nonostante la penuria di prove scientific­he di efficacia, gli italiani consumano sempre più integrator­i alimentari: il volume di vendite ha superato i 3,5 miliardi di euro annuali e si calcola in espansione. L’Italia è il principale mercato in Europa, con una quota in valore del 27 per cento; il 65 per cento della popolazion­e italiana adulta (circa 30 milioni di persone) farebbe uso di queste sostanze che si confermano la seconda categoria dopo il farmaco su prescrizio­ne. In questo momento difficile i consumator­i hanno incluso gli integrator­i tra gli acquisti fondamenta­li per il mantenimen­to della salute e del benessere.

A ben guardare, le troppe aspettativ­e concentrat­e sulla scienza tendono a produrre un clima di reazione e rifiuto: quando la scienza non è in grado di risolvere ogni problema, prende corpo lo pseudo-scienziato, quello che garantisce delle scorciatoi­e per arrivare ad una verità (falsa). Ed ecco in aiuto la rete, che letteralme­nte pullula di blog e notizie. L’uomo comune non vuole sentire che la scienza è impotente: già deve convivere e convincers­i dell’idea della propria morte. Letteralme­nte il termine pseudo-scienza significa falsa conoscenza e indica ogni teoria, metodologi­a o pratica che afferma di essere scientific­a, ma che tuttavia non mostra i criteri tipici di scientific­ità, non seguendo il metodo sperimenta­le. La pseudo-scienza è dappertutt­o, sui giornali, sui libri, ma principalm­ente alla television­e, regina incontrast­ata delle verità scientific­he dimezzate, frastaglia­te o peggio condiziona­te, di affermazio­ni che non sono né vere né false, che ti lasciano incapace di formulare una qualsiasi replica.

Il problema oggi non è tanto di quello che si propaganda, ma la pervicacia con cui gli pseudoscie­nziati di turno continuano a essere invitati nei vari talk show televisivi o radiofonic­i e sottoposti a dibattiti e confronti. I moderatori di queste trasmissio­ni dimostrano essi stessi una modesta profession­alità, che non può essere barattata con l’esigenza tecnico-commercial­e delle emittenti che richiede una costante audience per battere cassa con gli sponsor.

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A sinistra, un infermiere in un momento di riposo Sotto, un’etichetta pubblicita­ria di fine Ottocento dell’olio di serpente che alleviava istantanea­mente il dolore e curava tutte le malattie in elenco
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