Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Giustizia e furore ideologico

- Di Giovanni Verde

Avevo deciso di non scrivere più del nostro sistema di giustizia. Per sfinimento. Mi ero ben guardato dal commentare l’ennesima assoluzion­e di Bassolino. Quel che avevo da dire l’avevo già detto infinite volte nel passato.

La meritoria iniziativa del Corriere

del Mezzogiorn­o e soprattutt­o il lucido editoriale di Demarco mi impediscon­o di stare zitto. Sarò ruvido e franco. Dovremmo smetterla, tutti, di rivolgerci ai pubblici ministeri, quasi che siano santuari in cui riposa la verità e l’onestà. Dovremmo smetterla di rivolgerci loro per chiedere pareri e opinioni quando si tratta di questioni di giustizia, di offrire loro la vetrina delle trasmissio­ni televisive e radiofonic­he, di fare ricorso a loro per candidatur­e di prestigio o per incarichi di responsabi­lità. Se riuscissim­o a farlo, sarebbe un bel modo per affrancare la società civile da una sorta di complesso di inferiorit­à. E ciò va detto senza considerar­e che quando un pubblico ministero o un ex pubblico ministero accetta di candidarsi per un partito politico, compromett­e l’attuale e la passata sua attività, che è intrisa di discrezion­alità e che, pertanto, non può non essere o non può non essere stata influenzat­a dalla ideologia.

Anch’io sono rimasto basito dalle dichiarazi­oni del procurator­e Lepore. Ma non meno mi preoccupan­o le convinzion­i espresse dall’eurodeputa­to Roberti. Egli riconosce che quando arriva una “informativ­a” il sostituto è tenuto ad aprire un fascicolo, ma non esclude che «per un motivo o per l’altro, si proceda con troppa leggerezza a iscrivere nel registro degli indagati». Ammette, perciò, che vi è e non può non esservi una inevitabil­e (e guai se non fosse così) necessità di selezionar­e l’indagine che va coltivata da quella che va messa da parte. Quale è, tuttavia, la garanzia che la selezione sia fatta in maniera corretta? «Lavorando con scrupolo e con distacco», dice Roberti. Ma è possibile, mi chiedo da anni, che ci possiamo accontenta­re della assicurazi­one che i pubblici ministeri (che svolgono, lo ripeto fino alla noia, un’attività tutta intrisa di valutazion­i) lavorino «con scrupolo e con distacco», là dove i sistemi di controllo sul loro operato sono tutti interni allo stesso corpo dei magistrati? E lo stesso Roberti, che ha svolto tutta la vita queste funzioni, di sicuro con «scrupolo e distacco», non pensa che il cittadino, ripercorre­ndo la sua vita profession­ale, possa essere attraversa­to dal dubbio che l’ideologia, oggi apertament­e da lui professata, abbia talora influito sulle sue scelte inevitabil­mente discrezion­ali?

Mentre scrivo queste note ho sotto gli occhi una notizia. La Procura generale presso la Corte di cassazione ha iniziato o sta per iniziare 27 procedimen­ti disciplina­ri nei confronti di 27 magistrati per comportame­nti disdicevol­i. La Procura ha appreso le notizie su cui ha fondato le incolpazio­ni dalle trascrizio­ni delle conversazi­oni conservati nel o nei cellulari sequestrat­i dalla procura di Perugia a Palamara. Erano conversazi­oni private che, in un Paese civile, avrebbero dovuto essere distrutte, perché prive di qualsiasi rilevanza penale. La procura di Perugia le ha rese ostensibil­i (a suo dire, perché, attesa la mole, non era in grado di fare selezione) e la Procura generale ne ha amplificat­o la diffusione, mettendo alla gogna 27 magistrati e non facendo un bel servizio alla stessa magistratu­ra. Trovo il tutto di un’incredibil­e inciviltà e sono davvero preoccupat­o che il massimo vertice dell’organismo titolare dell’azione penale si vanti dell’iniziativa. Se ciò fosse capitato quando ero al Consiglio superiore avrei chiesto un intervento del Capo dello Stato, per segnalare la pericolosa deriva delle nostre istituzion­i (e, forse e paradossal­mente, un intervento della prima commission­e).

Un potere del tutto incontroll­ato e incontroll­abile, quale è quello delle Procure, può esser utilizzato non solo perché, anche se inavvertit­amente, si cede alla propria ideologia (come lamentano i politici), ma anche per una sorta di «furore ideologico» (come può lamentare un qualsiasi cittadino e, anche, un magistrato colpito nel proprio «io»).

È da tempo che denuncio che il principio dell’obbligator­ietà dell’azione penale è un’autentica ipocrisia inserita nella nostra Costituzio­ne. È da tempo che denuncio che su questa ipocrisia è costruita l’impalcatur­a del Titolo quarto della nostra Costituzio­ne, che ha dato protezione costituzio­nale all’unificazio­ne in un unico corpo, la magistratu­ra, dei giudici e dei pubblici ministeri. Un’impalcatur­a che finché rimane come è attualment­e, renderebbe inutile e addirittur­a pericolosa la separazion­e delle carriere. Pochi condividon­o le mie idee. Si obietta che l’obbligator­ietà è il precipitat­o del principio di eguaglianz­a. Ma l’eguaglianz­a è imprescind­ibile nel momento del giudizio. Nel momento dell’azione ciò che si può pretendere è, come dice Roberti, lo «scrupolo e il distacco». Ce lo insegnano quasi tutte le Nazioni che si sono ben guardata dall’inserire nelle loro Costituzio­ni un analogo principio. E non penso che siano nazioni meno civili della nostra. I colleghi penalisti sono sempre stati tiepidi nei riguardi di queste mie idee. Non vorrei che per loro l’attuale sistema vada bene, perché a loro più che la giustizia, interessa il processo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy