Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Fiori» per i Bastardi di Pizzofalcone
Quando tutto questo sarà solo un brutto ricordo e avremo faticosamente riacquisito le nostre abitudini, belle e brutte, sarà interessante il modo in cui proveremo a ricostruire la vita al di là delle mascherine, degli occhiali appannati e delle perenni lastre delle finestre di casa.
Quando tutto questo sarà solo un brutto ricordo e avremo faticosamente riacquisito le nostre abitudini, belle e brutte, sarà interessante il modo in cui proveremo a ricostruire la vita al di là delle mascherine, degli occhiali appannati e delle perenni lastre delle finestre di casa. Forse saremo in grado di ripensare l’angoscia, la paura del futuro e del cambiamento; e forse saremo capaci di ricordare il rimpianto per le migliaia di piccole cose semplici che normalmente abbiamo e che, in un periodo di tenebra, abbiamo perso.
Un incontro casuale, per esempio. Una risata, un paio di baci sulle guance. Una stretta di mano, e poi prendersi sottobraccio e andare in cerca di un bar, o di una pizzeria. Passeggiare sotto il sole senza aver paura di urtare casualmente qualcuno, un sorriso e un cenno di scusa; e sedersi vicino al mare condividendo birra e taralli con un amico per parlare di passato, ricordando tempi che magari non erano belli ma che lo sono diventati un po’ alla volta, man mano che da essi ci allontanavamo.
Sarà strano ricordare, quando tutto sarà tornato normale, il modo in cui abbiamo continuato a fare il nostro lavoro. Forse per molti resterà diverso, almeno in parte; e per altri sarà forse necessario cambiare, e trovarne un altro. Per quanto mi riguarda, ricorderò il modo in cui ho scritto Fiori per i Bastardi di Pizzofalcone. Ricorderò i dubbi, le certezze; e ricorderò quanto mi abbia fatto compagnia, e che regalo sia stato poter partire e stare in quel mondo per il tempo necessario, abbandonando momentaneamente tutta l’ansia che preme su di noi come una cappa di piombo.
Tra tutte le mie storie, i Bastardi sono quella più immanente. L’emotività color seppia di Ricciardi e dei suoi anni Trenta, il nero doloroso di Sara e del suo terribile passato, l’allegria multicolore di Mina e degli affollati Quartieri Spagnoli sono universi molto caratterizzati, per me inconfondibili e tutti da scoprire. Quando scrivo di loro, quei personaggi mi fanno da ciceroni per strade e paesaggi che non sono i miei. I Bastardi invece si muovono, si incontrano e si scontrano all’interno della realtà che mi circonda, nelle pagine dei giornali che leggo e nei videogiornali che guardo. I Bastardi sono qui e ora, percorrono l’attualità e sono il mio modo di interpretare strade e piazze di una città in cui vivo, di cui sono innamorato e che temo per la sua ferocia.
Non volevo, non potevo raccontare di mascherine e di distanziamento sociale, di pannelli di plexiglas e di saracinesche abbassate. Sarebbe stato assurdo parlare di un mondo momentaneo che credo, voglio credere con forza che presto verrà cancellato e sarà una brutta cicatrice sulla pelle della nostra anima collettiva e niente di più. Peraltro i Bastardi nella mia testa malata sono raccontati a distanza di un anno e mezzo, più o meno, quindi ho potuto immergermi in una passata primavera, bellissima e profumata e piena di promesse difficili da mantenere. E mi sono ritrovato davanti a un chiosco di fioraio, sapete, di quelli liberty di ferro battuto e vetro che ancora si vedono in giro per la città, perché troppo belli da cancellare e da sostituire.
Quando ci sono arrivato, fuori pioveva; ma nella mia testa un lieve vento frizzante portava un odore di erba nuova e di mare, e nelle mie orecchie sentivo i gabbiani stridere nel silenzio di un’alba che aveva ancora dentro un po’ del freddo del precedente inverno. Era bellissima Pizzofalcone nella mia testa, credetemi: prima di riempirsi di scooter e di gente, prima che l’infinito cantiere della metropolitana davanti a Santa Maria degli Angeli cominciasse con le operazioni di carico e scarico, prima che aprissero i negozi e le trattorie il quartiere sembrava in tutto e per tutto venire dal passato remoto. E invece no, invece apparteneva a un immaginario recente aprile, e come in tutte le storie dei Bastardi portava tra le braccia qualcosa di terribile. E questo qualcosa di terribile era il cadavere martoriato del fioraio, un anziano, gentile signore amato e benvoluto da tutti, che come tante persone amate e benvolute da tutti è finito ucciso nel peggiore dei modi.
Da lì, nella mia testa, è partita le storia. E ancora una volta i Bastardi, nei meandri della vita irreprensibile e modesta della vittima, hanno dovuto specchiare dolorosamente le loro stesse esistenze, provando a scoprire, attraverso le irragionevoli motivazioni di una morte, le ragioni della propria sopravvivenza. E le relazioni, i rapporti, gli amori e le distanze che come una zavorra devono portare.
Mai come questa volta devo ringraziare i Bastardi di popolare, nel loro caotico modo, la mia fantasia deviata: perché nelle loro disperazioni, in Fiori raccontano tutte le speranze che ho. Con tutto il cuore, mi auguro che facciano lo stesso per chi vorrà leggerne questa avventura.